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Ritratti ghisleriani – Gli Zanardelli in Collegio
Giuseppe Zanardelli a teatro - Un inedito sul Corriere della Sera -  Fondazione Ghislieri

Degli Alunni del Collegio Ghislieri, nessuno può vantare la stessa carriera nelle istituzioni di Giuseppe Zanardelli, parlamentare per i primi quarantadue anni del Regno d’Italia, presidente della Camera nel 1892, ministro del Lavoro nel 1876, ministro dell’Interno nel 1878, ministro della Giustizia a più riprese e Presidente del Consiglio dal 1901 al 1903, anno della morte. “Lo spirito e la cultura profondamente laici di Zanardelli hanno trovato la massima espressione nel codice penale del 1889”, illustra il nostro Alunno Ernesto Bettinelli, docente di Diritto Costituzionale presso l’Università di Pavia ed egli stesso membro del Governo (come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) nel 1997. “Questo codice sostituì i codici preunitari (sardo e toscano, rimasti in vigore nelle diverse province del Regno anche dopo l’unificazione) e abolì la pena di morte e i reati di associazione a sfondo politico e sindacale. Prese il nome di Zanardelli non soltanto in quanto egli lo promosse come ministro di Grazia e Giustizia, ma anche in quanto egli contribuì personalmente alla sua elaborazione. Il liberalismo di Zanardelli è davvero diffuso, convinto, convincente e attuale”.

Le parole del prof. Bettinelli provengono da un prezioso volumetto collettaneo – Zanardelli: una famiglia ghisleriana (Ibis, 2005) – che trasse occasione dalla donazione all’archivio del Collegio di alcune carte inedite dell’illustre Alunno, oltre che di suo fratello Ferdinando, anch’egli ghisleriano. “Zanardelli entrò in Collegio nel 1844”, prosegue il testo, “in un’epoca di grande tensione politica e di insofferenza degli studenti nei confronti del regime austriaco, tanto che il Collegio fu indotto a rivedere e ad aggravare gli articoli disciplinari del proprio ordinamento interno. Inoltre, come è capitato anche in altri momenti, tra ghisleriani e città di Pavia non vi erano rapporti di grande simpatia”.

In maniera sorprendentemente sopra le righe per il futuro uomo delle istituzioni, fa fede al riguardo una lettera del 1846 in cui, al terzo anno di università nella facoltà politico-legale, Zanardelli racconta di essere temporaneamente “fuggito dalla patria delle nebbie e della scortesia, ove la stanchezza fisica e intellettuale procuratami dall’insalubrità del clima e dell’insaviezza delle disposizioni fecemi diventar necessario il desiderato abbandono”. A rendere ancor più necessario l’abbandono, emerge dal resto della missiva, è il maggior fascino delle donne di Brescia, città d’origine di Zanardelli.

L’irrequietezza di Zanardelli, in verità, non era solo esistenziale, ma soprattutto politica e patriottica”, conclude il prof. Bettinelli. “Con notevole profitto negli studi, egli rimase infatti continuativamente in Collegio fino alla sua chiusura (dal 13 febbraio 1848 al 24 novembre 1850), decretata a causa dei movimenti insurrezionali”. Il resto della formazione accademica di Zanardelli è piuttosto movimentato. A marzo 1849, in piena prima guerra d’indipendenza, si reca a Pisa, dove si laurea. Ma il Granducato di Toscana è una nazione diversa dal Regno Lombardo-Veneto, nonostante la parentela asburgica che lega i due Stati; al suo rientro in Lombardia, non gli viene riconosciuta la laurea conseguita all’estero e Zanardelli deve laurearsi una seconda volta, stavolta nella nebbiosa e scortese Pavia, nel settembre dello stesso anno. A parziale consolazione del disguido, può godere fino all’ultimo dell’assegno di 400 lire austriache che il Ghislieri gli versa in quanto Alunno non residente del Collegio.

Fra le carte donate a inizio di questo secolo al Ghislieri, un corposo nucleo è costituito da quelle relative al periodo immediatamente successivo alla doppia laurea; e, purtroppo, alla morte del padre che lo lascia responsabile della numerosa famiglia. Lo spiega bene, nello stesso volume, Ettore Dezza, Professore ordinario di Storia del diritto italiano nell’ateneo pavese: “L’insegnamento privato delle materie dei corsi universitari, e segnatamente delle materie del corso politico-legale, costituiva pratica assai diffusa all’epoca, era precisamente regolamentata a livello normativo, e di fatto diveniva indispensabile nei momenti non del tutto rari di chiusura delle università. La relativa patente, che venne conseguita da Zanardelli a Pavia immediatamente dopo la laurea e che gli venne confermata dopo un ulteriore esame nel 1850-’51, gli sarà poi revocata, per motivi politici, all’inizio del 1853”. Alcune delle carte custodite presso l’archivio del Ghislieri sono proprio gli appunti, minuziosi e ben suddivisi per argomento, che il giovane Zanardelli vergò per i primi anni di docenza, che costituiscono forse la prima riflessione organica del futuro ministro sul diritto. Con ogni probabilità, quelle carte gettano il primissimo seme della riforma Zanardelli.

È rilevante notare come, responsabile della famiglia dopo la morte del padre, Zanardelli volle che anche ben due suoi fratelli studiassero successivamente in Ghislieri: Ferdinando, di quattordici anni più piccolo, e Cesare, di sedici.

Battezzato col nome dell’imperatore regnante, Ferdinando Zanardelli decise di non seguire le orme del fratello maggiore, ormai già parlamentare, ma di darsi all’ingegneria. “Quando viene in Collegio nel 1859”, racconta nel proprio contributo Angelo Stella, docente di Storia della lingua italiana all’Università di Pavia, “Ferdinando trova una camera d’alloggio e soprattutto ‘un vitto veramente sontuoso’, che tale si mantenne ‘durante i tre anni del corso di matematica a quella Università’. Poi passa a Torino, dove manca il Collegio Ghislieri ma esiste, diversamente che a Pavia, una città, con un migliore teatro, per il melodramma”.

I virgolettati nel testo del prof. Stella derivano proprio da alcune pagine autobiografiche dello Zanardelli minore, dall’asettico titolo Alcuni miei ricordi, stese pochi anni prima della morte, giunta nel 1926. Sono memorie in cui non mancano gli episodi curiosi che lambiscono la grande storia risorgimentale, come questo: “Nel primo anno di Università ebbi uno dei maggiori disappunti, quello d’esser stato impedito di farmi Garibaldino per l’Impresa della conquista delle Province Meridionali. Un telegramma di mia madre avvisata della mia partenza dal Rettore del Collegio Ghislieri m’impedì detto imbarco. Di questo mi rammaricai più tardi con mia madre mettendola in contraddizione col suo fatalismo al che rispondeva che non si doveva cercare il freddo per il letto”. Ovvero, che non bisognava andare a cercarsi i guai col lanternino; e, per la premura congiunta materna e rettoriale, i Mille ebbero un combattente in meno.

Nota tuttavia, il prof. Stella, che questa teoria di Zanardelli ghisleriani non prese avvio con Giuseppe: ce n’era stato un altro poco dopo il Congresso di Vienna: “Un Antonio Zanardelli venne a Pavia da Brescia nel 1818, quando il Collegio riapriva – dopo l’interludio militare napoleonico – e si dava nuovi regolamenti in sintonia con la Restaurazione. Questo primo Zanardelli avrebbe anticipatamente costituito una specie di Associazione degli ex Alunni del Ghislieri, da lui definita ‘unione’, da leggersi probabilmente come ‘riunione’. Lo testimonia una plaquette […] dove si scomodano le Muse della poesia”.

I versi, a dire il vero, sono migliorabili – “Là dove Augusto a’ suoi figli sovviene / ampio ricetto, e scola di Sofia / di Ghislier la soglia a noi s’apria / nella turrita Longobarda Atene” – ma, a difesa del primo Zanardelli collegiale, va riconosciuto che la parola “Ghislieri” non è amica della metrica. “Anche il Rettore del Collegio, il sacerdote Domenico Samueli (o Samuelli), ‘venne invitato dal promotore dell’Unione a godere di siffatta giocondità’”, prosegue il prof. Stella, “ma declinò l’invito, scusandosene in data 8 luglio, lodando comunque lo Zanardelli per l’iniziativa e per ‘il suo zelo pel pubblico bene, e quella giusta e dovuta divozione che meritatamente ha, e che tutti abbiamo e dobbiamo avere a Sua Maestà amorosissimo nostro Sovrano’. La festa si chiuse con voti unanimi ‘onde si abbia a rinnovellare un giorno che sortì tanto caro per la causa e per l’effetto’, anche per ‘la presenza di Soggetti distinti per magistratura, e quella di cortesi Signore appartenenti a taluno dei Convitati’”.

Non si hanno notizie di repliche immediate di questa riunione di vecchi ghisleriani risalente al 1839, che sopravvive tuttavia nell’annuale convegno di San Pio organizzato ogni anno a maggio dalla Associazione Alunni a partire dal secondo dopoguerra.

Le informazioni contenute in quest’articolo sono tratte dal volume Zanardelli: una famiglia ghisleriana (Ibis, 2005), che contiene contributi di Ernesto Bettinelli, Paolo Corsini, Marina Tesoro, Ettore Dezza e Angelo Stella, oltre a testi carte inedite di Giuseppe e Ferdinando Zanardelli donate al Collegio Ghislieri. Il Ghislieri stesso aveva ospitato la sessione pavese di un convegno dedicato al suo celebre Alunno dal 29 settembre al primo ottobre 1983. Nel 2020 il Corriere della Sera ha pubblicato un testo inedito relativo alle prime attività di Giuseppe Zanardelli dopo la laurea. La rilevanza politica e storica del nostro celebre Alunno merita appena di essere rimarcata; basti ricordare che nel 2003, in occasione del centenario della morte, la Presidenza della Repubblica gli dedicò una mostra al Vittoriano, inaugurata da Carlo Azeglio Ciampi. Le ultime puntate dei Ritratti ghisleriani sono state dedicate a Ezio Vanoni, Domenico Frassi, Luigi Credaro, Ferruccio Ghinaglia, Cesare Correnti, Enrico Misley e Alfredo Corti.