Ritratti ghisleriani – Enrico Misley e l’Unità d’Italia

C’è un po’ di Ghislieri nel primo seme concreto dell’ideale risorgimentale dell’Italia unita. Tradizionalmente, l’esplicito delinearsi di questo progetto viene datato al 1831, con le Idee per organizzare delle intelligenze fra tutte le città d’Italia per la sua Indipendenza, Unione e Libertà di Ciro Menotti. “In ogni città dell’Italia”, scriveva Menotti, “vi saranno delle intelligenze fra alcuni dei migliori o più influenzanti abitanti, i quali tutti d’accordo agiranno sopra ad un egual piano di operazioni; questi capi di ogni città si formeranno in comitati locali e questi saranno tanti raggi di un Comitato Centrale Italiano, che avrà la sua sede in Parigi ed al quale saranno collegati con lo stesso spirito e tendenze quegli altri comitati parziali formati da Italiani per una causa italiana nella Svizzera e nella Francia stessa. A questo fine tutti devono intendere e formare poscia dell’Italia una monarchia rappresentativa, dando la corona a quel soggetto che verrà scelto dall’assemblea o congresso nazionale, e che Roma fosse la capitale”.

È un piano sofisticato e ambizioso di cui Arianna Arisi Rota, la nostra Alunna Professore Ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Pavia, rinviene le radici già sul finire degli anni Venti dell’Ottocento, grazie all’inventiva e al coraggio di un concittadino di Menotti, Enrico Misley. Nato nel 1801 a Modena – racconta Arianna Arisi Rota nel suo saggio Risorgimento. Un viaggio politico e sentimentale (Il Mulino, 2019) – Misley si era iscritto all’Università di Pavia, dove suo padre insegnava veterinaria, per studiare Giurisprudenza. Dopo un anno di studi, fu ammesso al Collegio Ghislieri, con posto gratuito, salvo poi abbandonare improvvisamente città e università dopo due anni: a causa della morte del padre? Del ritorno della famiglia nella terra d’origine? Della maggiore possibilità di attività politica nel Ducato anziché nel Lombardo-Veneto?

Fatto sta che “l’abbandono del Ghislieri e la rinuncia a proseguire gli studi nell’ateneo pavese”, scrive Alberto Basciani nel Dizionario Biografico degli Italiani, “incuriosirono le attività lombarde che aprirono un inchiesta di polizia per conoscerne i motivi”. “Esponente di una borghesia intraprendente, affaristica perché no, informata sulle più recenti tecniche di commercio e viaggiatrice secondo le nuove rotte delle reti politiche europee, centrate a Parigi”, aggiunge Arisi Rota, Misley era un “naturale candidato all’affiliazione alla Carboneria e alla Massoneria”. Eppure sulle prime Misley non parve destare particolari sospetti: si laureò nel 1822 nell’ateneo modenese, si sposò e, addirittura, alla prima figlia mise nome Maria Teresa. La bambina morì a due anni, nel 1828.

Era il periodo in cui iniziava a farsi strada l’ipotesi che l’Impero Austriaco, espandendosi a Oriente col sottrarre terreni agli ottomani, allentasse la presa sul Lombardo-Veneto e favorisse un’avventurosa espansione del Regno di Sardegna oltre il Ticino. Misley, dal canto suo, entrò in contatto con gli ambienti cospirativi modenesi tramite i fratelli di sua moglie, Giovan Battista e Ferdinando Ruffini. Secondo Basciani l’esperienza ghisleriana si rivelò decisiva nell’impulso che Misley diede alla causa cospirativa modenese, quindi all’accrescersi delle ambizioni risorgimentali: “Ben presto si fece notare per l’esuberanza del carattere e un quasi ostentato attivismo con il quale, forte delle esperienze di vita e di studio maturate fuori dal Ducato e dalla frequentazione di personaggi come Melchiorre Gioia, pareva quasi volesse marcare una differenza tra la sua personalità e quella dei suoi provinciali interlocutori”.  

Siamo all’altezza del 1826. In questo momento grazie a Misley si affermò per la prima volta un’ipotesi compiutamente unitaria. Continua Basciani: “Fu in questo contesto che il Misley, tra l’incredulità dei più, cominciò a farsi portatore dell’idea di un moto che avesse l’obiettivo di fare del duca di Modena, Francesco IV d’Austria-Este, il futuro capo costituzionale di una nazione italiana unificata”. Inizia così un periodo di lunghi peregrinari fuori dal Ducato, nel Lombardo-Veneto, in Svizzera e a Parigi, dove incontrò il locale Comitato Cosmopolita; stando alle lettere spedite alla moglie Maria Francesca, pare fosse in grado di spingersi fino alla Romania, all’epoca ancora Valacchia soggiogata all’Impero Ottomano – i motivi restano oscuri. Fatto sta che, al termine di questi viaggi, Misley fu riconosciuto come “se non il capo, almeno l’interlocutore privilegiato” della cospirazione unitaria. Arisi Rota spiega: “Misley spinge così i suoi contatti, oltre che con i liberali di Bologna e della Romagna, con un’altra centrale dell’esilio italiano, il Comitato di Londra, e acquista alla causa della congiura un giovane imprenditore di Carpi, Ciro Menotti”, di tre anni suo maggiore.

Il piano, considerato a posteriori, è spiazzante se non cervellotico: consisteva nell’allontanare dal trono sabaudo l’erede Carlo Alberto per consegnare l’incarico a Francesco IV, genero di Carlo Felice di Savoia, e da lì procedere all’espansione. Non viene presa in considerazione l’ipotesi che l’Austria, cui Francesco IV era legato a doppio filo, potesse non avallare senza battere ciglio l’avvicendamento. Ciò nondimeno, i moti parigini del 1830 diedero nuova linfa all’azione cospirativa di Misley, nel frattempo tornato in Francia; misero tuttavia in guardia Francesco IV, che mantenne sì aperti i canali di comunicazione con Misley e Menotti, ma con crescente benché sotterraneo scetticismo che rasentava il doppio gioco. Fu la ragione per cui, l’anno successivo, il fallimento del moto modenese – cui Misley non partecipò, restando in Francia ma venendo costantemente ragguagliato da Menotti – rivelò quanto ingenua fosse la fiducia riposta nel Duca e fallì in maniera pressoché grottesca.

Esisteva però da quel momento, spiega Arisi Rota, “il piano che potremmo chiamare Misley-Menotti”, fondamentale poiché “recepisce la pregiudiziale del comitato londinese per un’azione che non si limiti all’ingrandimento di un solo Stato della penisola bensì punti all’unificazione e all’indipendenza dell’intera Italia”. La nuova nazione sarebbe sorta come “monarchia rappresentativa, il cui titolare sarà scelto da un’assemblea nazionale, mentre Roma viene indicata come la capitale necessaria per la nuova Italia, la cui nuova bandiera, il tricolore bianco rosso verde con una croce, simboleggerà la conciliazione della libertà con la religione”.

Non andò esattamente così, certo. Il destino di Misley – che si salvò mentre Menotti fu prima abdotto dal Duca a Mantova, quindi fatto impiccare a rivolta sedata – parve segnato da questo fallimento, nel giudizio dei contemporanei: Mazzini lo tacciò di imbroglione immorale, Tommaseo di scroccone, Giovita Scalvini addirittura di demonio (oltre che di spia). Iniziò una nuova fase nella vita di Misley, caratterizzata da ulteriori peregrinazioni europee e inaugurata dalla pubblicazione a Parigi de L’Italie sous la domination autrichienne (1832), requisitoria antiasburgica che però sembra glissare sull’esperienza modenese. Al povero Menotti sono dedicate poche righe, che culminano in un proclama retorico piuttosto vago: “Il crie vengeance, et il l’aura, tant qu’il y aura un coeur qui batte sous une poitrine italienne!”.

Tanto per cambiare, anche questa pubblicazione attirò ostilità a Misley; tempo due anni e Paride Zajotti pubblicò a Milano una Semplice verità opposta alle menzogne di Enrico Misley nel suo libello (1834) che contribuì alla leggenda nera: “Intorno a questo Misley v’è una brutta nebbia di mistero che convien penetrare. Misley è quasi un’incognita che a ben conoscerla deve dall’algebrista essere messa in equazione colle altre a lui cognite”. Né Misley si prodigò a dissipare i sospetti dei patrioti, stante che nel 1835 si trasferì in Spagna, dove intrattenne rapporti diretti con la regina Maria Cristina, mettendola a parte in più di una circostanza di attentati che stavano venendo preparati da rivoltosi contro la famiglia reale. Tornò a vivere in Francia, quindi col 1848 andò in Piemonte con l’intento di lavorare a un diretto intervento francese nella guerra del Regno di Sardegna contro l’Austria. Non fu ritenuto affidabile e il suo piano fallì ancora; ma nuovamente il suo genio aveva precorso i tempi, anticipando ciò che sarebbe successo una decina d’anni dopo grazie al trattato di Plombières.

Si trasferì allora a Ginevra dove, conclude Basciani, “attese alla scrittura di un suo memoriale politico che avrebbe dovuto fornire una parola di chiarezza alla sua intricata vicenda politica. Il memoriale non vide mai la luce, forse per volontà di Luigi Napoleone Bonaparte, che negli anni precedenti era stato in rapporto con il Misley e che in quel momento, tutto proteso alla scalata del potere, tendeva a far dimenticare una parte del suo passato più scomodo”. In una lettera del 1857, indirizzata alla regina Maria Cristina, Misley lamentava di essere ridotto alla più assoluta indigenza, lasciando intendere che fra i vari debitori insolventi cui aveva prestato del denaro ci fossero anche membri della famiglia reale.

Vero? Falso? Con Misley non si può mai sapere. L’Italia fu unificata formalmente il 17 marzo 1861. Misley morì a Barcellona il 2 gennaio 1863.

Sulla figura di Enrico Misley la bibliografia abbonda. Oltre alla voce di Alberto Basciani nel Dizionario biografico degli Italiani (Treccani, 2011) e a Risorgimento. Un viaggio politico e sentimentale di Arianna Arisi Rota (Il Mulino, 2019), si possono consultare la classica Storia di Modena e dei suoi duchi dal 1598 al 1860 di Luigi Amorth (Martello, 1967) e la testimonianza di un erede di Misley stesso, Guido Ruffini, Le cospirazioni del 1831 nelle memorie di Enrico Misley (Zanichelli, 1931). Sono disponibili online sia L’Italie sous la domination autrichienne dello stesso Misley (Moutardier, 1832) sia la risposta anonima di Paride Zajotti, Semplice verità opposta alle menzogne di Enrico Misley nel suo libello (Parigi, 1834; ma in realtà Milano, 1835). Le ultime puntate dei Ritratti ghisleriani sono state dedicate a Ezio Vanoni, Domenico Frassi, Luigi Credaro, Ferruccio Ghinaglia e Cesare Correnti.