Ritratti ghisleriani – Luigi Credaro

Luigi Credaro - Wikipedia

“Io, da bambino, sì e no, per andare a scuola a Sondrio, ricevevo una maglietta fatta in casa, ma poi spesso mancavano i bottoni, e io supplivo con pezzi di spago o di lacciuoli e, in mancanza di questi, con spini, che utilizzavo comunemente anche per tener su i calzoni, sempre bucati”. In quest’autoritratto piuttosto dimesso – che nel 1979 Patrizia Guarnieri cita verso l’inizio del suo agile Luigi Credaro. Lo studioso e il politico – si potrebbe stentare a riconoscere un futuro Ministro dell’Istruzione, e per giunta colui che, mettendo finalmente in pratica la riforma dell’obbligo scolastico, avrebbe posto fine alla secolare tradizione dell’Italia analfabeta.

Luigi Credaro e l’Italia nacquero, più o meno, allo stesso tempo. Il futuro ministro vide la luce in Valtellina, a Colda, il 15 gennaio 1860, poco prima che un plebiscito sancisse l’annessione al Regno di Sardegna della Toscana e di parte dell’Emilia dopo la Seconda guerra d’indipendenza. Basta sfogliare i documenti d’epoca per accorgersi di quanto faticosi potessero risultare all’epoca ortografia e lessico, anche per chi scriveva per mestiere, come ad esempio gli impiegati dell’anagrafe. Nel censimento della popolazione italiana del 1871 la famiglia Credaro risulta così composta: padre, Andrea, “agricoltore proprietario”; madre, Maria, “agricola”; due sorelle, Maria e Teresa, “agricole”; un’altra sorella, Giuseppa, “agricoltura proprietaria”. Il medesimo documento – testimonia l’introduzione ai taccuini del capofamiglia, pubblicati nel 2012 – riporta che a casa Credaro il padre e i due figli maggiori sapevano leggere e scrivere, le figlie sapevano leggere ma non scrivere, mentre la madre non sapeva né leggere né scrivere esattamente come i figli di età inferiore ai sei anni.

Nell’immagine di Credaro bambino può dunque vedersi un prototipo dello studente elementare agli albori della nazione italiana; non solo, e forse non tanto, nelle dure condizioni materiali in cui era costretto ad affrontare la strada per Sondrio, ma soprattutto nel contesto di provenienza, scarsamente acculturato. Ciò non significava che la famiglia, pure tutta devota alle coltivazioni (il padre era un innovatore nel settore), non desse la giusta importanza all’istruzione della prole. Perfino la madre, pur del tutto analfabeta, si faceva consegnare il libro di testo e gli faceva ripetere la lezione; se il piccolo Luigi imbrogliava sistemando sul tavolo il volume a testa in giù, così da poterlo sbirciare mentre sedeva di fronte a lei e declamava, la madre se ne accorgeva subito perché aveva imparato che i puntini si trovavano sulla parte alta delle i.

Fu forse proprio quest’episodio di vita familiare a far sorgere, precocissima, in Luigi Credaro la vocazione di dedicarsi al riscatto degli illetterati: ancora ginnasiale, a soli quattordici anni, organizzò una scuola serale per i contadini adulti analfabeti. Come tariffa, o doni in natura oppure ore di servizio nel campo del padre Andrea. In genere, dagli anni giovanili dovette ricavare una consapevole dedizione al miglioramento delle condizioni materiali in cui praticare l’istruzione; come se l’inadeguatezza del vestire fosse una costante della sua formazione, ancora nel 1934 descriveva all’Accademia dei Lincei il proprio esordio da universitario: “Mal vestito, ma ben scarpato, scendendo dalle apre maestose e italianissime Alpi della Valtellina m’iscrissi alla facoltà di Filosofia e Lettere di Pavia”.

Gli anni in Ghislieri insegnano invece a Credaro qualcosa di ulteriore. Diventa alunno nel 1879, anno in cui è uno dei due immatricolati in Filosofia in tutta l’Università, e sarà l’unico in tutto l’ateneo a prendere la laurea in Filosofia nel 1883. È il periodo in cui in Collegio infuria la polemica che vede molti studenti richiedere la conversione del posto di alunno (ossia il vitto e alloggio) in borsa di studio da spendersi come si preferisce; motivo del contendere è che, all’epoca, la vita in Ghislieri comportava l’obbligo di seguire norme disciplinari astruse e limitanti, residuo di regolamenti vetusti che già a fine Ottocento apparivano più che superati.

Credaro abbraccia in pieno anzitutto il motivo della protesta. “Il nostro Paese ha bisogno di uomini e non di fantocci”, scrive nella voce “Ghislieri (Collegio)” del Dizionario Illustrato di Pedagogia del 1885, “ai quali con venti e più anni di età si fissa ancora il minuto di rincasare, di entrare in camera, di alzarsi, ecc. Uno studente universitario, un laureando, che per ragioni speciali di famiglia è costretto a tale umiliazione è un anacronismo”; nelle lettere private, quando è arrabbiato, parla addirittura di “vita da caserma”. Ancor più il giovane Credaro – che è un graffiante critico anche della vita a Pavia,  “città che manca d’ogni distrazione” e dove “due persone che si conoscono, se escono di casa, per forza s’incontrano” – è attratto dalla prospettiva della libertà che si può trarre dai benefici materiali in favore dell’istruzione; si dimostra quindi favorevole all’idea che agli studenti del Ghislieri venga versata una somma in denaro che non li vincoli a sottostare al regolamento collegiale.

Per quanto critica potesse essere stata la voce di Credaro, da studente, nei confronti del Collegio, va riconosciuto che al Ghislieri ha dovuto parte della libertà di poter proseguire con la propria attività intellettuale. Terminati gli studi, infatti, scrisse al suo maestro Carlo Cantoni, il grande kantiano, che “mio padre non può assolutamente permettere che io sia d’alcun aggravio alla famiglia per un altro anno; anzi, condizione sine qua non che mio fratello mi sostituisca sotto le armi, è che io soccorra subito la famiglia. Ed ha mille ragioni: anche quest’anno (ed è l’ottavo), la vendemmia in Valtellina si presenta assai magra”.

Quanto all’essere di peso alla famiglia, bisogna intendersi. La permanenza di Credaro in Ghislieri era stata gratuita, come per ogni studente all’epoca; ciò che il padre Andrea lamentava non era il costo degli studi quanto il fatto che gli sottraessero delle braccia. Ancora una volta, condizioni materiali e possibilità didattiche confliggevano. E se negli anni immediatamente successivi Credaro fu costretto a trovare una soluzione di compromesso, dandosi pane come insegnante liceale a Fano e contribuendo così alle finanze familiari, nel 1886 poté trasferirsi insieme alla neo-sposa Elisa Paini trasferirsi a Lipsia per un periodo di ricerca filosofica grazie a un posto di perfezionamento offerto proprio dal Collegio Ghislieri. Il soggiorno di Credaro in Germania si rivelerà utile, a lungo termine, come primo confronto fra la propria formazione e il sistema dell’istruzione all’estero; molti anni dopo, nel corso della prima guerra mondiale, condurrà in prima persona un’indagine sulla struttura accademica in Gran Bretagna.

La carriera politica di Credaro inizia nel 1895 con l’elezione in Parlamento per il collegio elettorale di Tirano, con quattrocento voti di scarto sul deputato uscente Bernardo Torelli; si vota con il sistema uninominale e Credaro si presenta come radicale, contrapposto al rivale moderato. “Figlio di contadini, rappresentante della classe di contadini”, in Parlamento Credaro si impegna per garantire alla Valtellina un progresso parallelo su due binari: quello culturale, ovviamente, con una sistematica campagna contro l’analfabetismo; ma al contempo quello materiale, con la costruzione di numerose strade, con programmi di rimboschimento e dettagliate questioni di allevamento bovino su vasta scala. È evidente, sin dai suoi primi passi in politica, che per Credaro la cultura non possa fiorire se non fra condizioni dignitose e che, al contempo, queste condizioni dignitose debbano avere come fine e fulcro l’elevazione culturale del popolo, di generazione in generazione. È forse un’eco dei vivi ricordi della fatica patita da bambino anche solo per andare a scuola, e magari un gesto di gratitudine nei confronti della famiglia che si è privata dal suo aiuto concreto per consentirgli di laurearsi e specializzarsi. Allo stesso modo, da professore a Pavia (e, per un periodo, assessore nella giunta comunale) si prodiga affinché le fila del corso di Lettere e Filosofia vengano rimpolpate grazie all’istituzione di borse di studio.

Resta parlamentare fino al 1918, e nell’aprile 1910 diventa ministro dell’istruzione nel nuovo governo presieduto da Luigi Luzzatti. Se quest’ultimo viene presto scalzato dal ritorno di Giolitti, l’affidabilità acquisita da Credaro nel nuovo ruolo gli garantisce il mantenimento del dicastero. È ovvio che Giolitti ha ogni interesse a venire puntellato, da sinistra, grazie al sostegno dei radicali, dalle cui schiere proviene Credaro; ma è anche vero che il programma del Ministro dell’Istruzione collima con la visione che ha Giolitti dell’educazione del popolo. Si tratta, per la verità, di un programma che Credaro aveva iniziato a mettere in atto già dieci anni prima, quando aveva dato vita a una struttura nazionale che federasse gli insegnanti italiani. Fine dell’Unione Magistrale Nazionale, sin dalla fondazione nel 1901, era la concreta estensione dell’istruzione primaria a tutte le classi sociali allo scopo (nelle parole di Patrizia Guarnieri) di “fare acquisire alle masse non solo elementari cognizioni, ma soprattutto quei valori civili e morali – la fratellanza, la solidarietà, il dovere – che sono ala base di una società armoniosa, ordinata, non più scossa da aperte tensioni di classe”.

Dire che Credaro possa avere tratto ispirazione dagli anni in Collegio per rafforzarsi nel convinto perseguimento quest’obiettivo di uguaglianza sociale, responsabilizzazione e progresso è probabilmente riduttivo; tutta la sua storia personale va con caparbietà verso questa direzione. Fatto sta che, dovendo affidare a qualcuno il ruolo di segretario amministrativo per affiancarlo come presidente, sceglie proprio Luisi Friso, che era Rettore del Ghislieri dal 1897 – e lo sarebbe rimasto fino al 1913, lasciando posto a Pietro Ciapessoni.

È dunque questa vocazione al progresso formativo il contesto al cui interno nel 1895, presenziando a un’adunanza dell’Istituto Lombardo, Credaro aveva pronunciato il discorso Del Collegio Ghislieri aperto in Pavia nel 1567. In queta nota interveniva in favore di una riforma del Collegio, che lo rendesse di fatto un istituto di eccellenza nazionale, opponendosi a chi invece ricusava la riforma col pretesto che il Ghislieri fosse una istituzione privata e, come tale, non dovesse rispondere delle proprie scelte all’esterno. Per Credaro, invece, la storia del Collegio Ghislieri è la storia di un istituto da sempre volto alla istruzione pubblica, e le cui riforme vanno quindi interpretate e avallate alla luce del beneficio collettivo che apportano non solo alla comunità accademica ma anche alla cultura della nazione. Un criterio che, da allora, è sempre stato centrale nelle scelte operate dal Ghislieri.

Le notizie biografiche e i documenti sono tratti dal volume di Patrizia Guarnieri, Luigi Credaro. Lo studioso e il politico (Società Storica Valtellinese, 1979), pubblicato nel XXV numero della Raccolta di studi storici sulla Valtellina. Quanto alle origini di Credaro e alla sua storia familiare, è fondamentale il volume postumo del padre: Andrea Credaro, I taccuini di un frutticoltore di fine Ottocento (Banca Popolare di Sondrio, 2012) con una corposa introduzione dei curatori Vera Credaro, Nella Credaro e Augusto Pirola. Precedenti puntate dei “Ritratti ghisleriani” sono state dedicate a Ezio Vanoni e a Domenico Frassi.