Letture ghisleriane – 1947: Francesco Forte sotto i portici di Pavia

Francesco FortePremio Ghislieri 2018, già deputato e senatore per il Psi, nonché Ministro delle Finanze per il Governo Fanfani e Ministro delle Politiche Comunitarie per il Governo Craxi – scelse di immatricolarsi in Collegio perché, racconta, “speravo di fare l’economista, come Ezio Vanoni di Morbegno, ghisleriano”. Lo scrive in un fascicolo di memorie consegnate nel 1999 al principale istituto di credito della sua terra d’origine, la Banca Popolare di Sondrio, a sigillo della “tradizione dei valtellinesi al Ghislieri, robusta e ricca di nomi importanti”.

Sostenuta la maturità nel 1947, continua, “andai a Pavia con una sorta di entusiasmo. Quel primo ingresso pavese mi è stampato nella memoria; e lo rivivo, quasi con la stessa gioia, ogni volta che mi capita di tornar a Pavia, scendendo alla stazione”. All’epoca il concorso si strutturava su una prova scritta (che Forte riteneva decisiva per gettare le basi di un buon punteggio) e due orali. “Eravamo, candidati al concorso del Ghislieri, una sessantina; ci condussero in un’aula ove ci comunicarono due temi, l’uno umanistico e l’altro scientifico. Essendo iscritto a Giurisprudenza, potevo scegliere e optai per lo scientifico, ciò che condizionava anche l’orale. Non c’era a Pavia, allora, la facoltà di Economia. Riuscii primo del gruppo scientifico e secondo [in assoluto], dopo il primo del gruppo umanistico, Giancarlo Buzzi, un giovane timido, che aveva fatto il liceo a Como e aveva parenti a Sondrio, con cui, entrato in Collegio, strinsi amicizia. Ero al sommo della felicità. C’era al Ghislieri” – e c’è ancora, aggiungiamo – “una mentalità meritocratica, di allevamento dei migliori cervelli, simile, suppongo, a quella che alberga nei dirigenti delle grandi squadre di calcio per le formazioni degli juniores”.

Sono gli anni in cui il Collegio era ancora maschile; ma, soprattutto, gli anni di un lento ritorno alla normalità dopo gli anni del regime fascista e della guerra, che aveva interrotto l’attività del Collegio ed era culminata nella sua invasione da parte dei tedeschi, che ne avevano fatto il proprio quartier generale a Pavia. “In Collegio eravamo un centinaio, di età fra i diciotto e i trent’anni (alcuni terminavano i corsi in ritardo, perché erano stati militari)”, racconta Forte. “Alcuni anziani erano stati feriti in guerra, erano reduci di prigionia; i più giovani (la grande maggioranza) comunque erano passati sotto i bombardamenti, avevano subìto il razionamento, avevano mangiato il pane nero della tessera, umido e duro, erano stati privi di riscaldamento invernale”.

In questo contesto di rifacimento dell’identità nazionale, e della creazione dello spirito di giovani che fino a poco prima non avevano conosciuto la libertà, si colloca magistralmente la vocazione del Ghislieri come comunità formativa. Spiega Forte: “Noi, che venivamo dalle varie province, avevamo voglia di capire come sarebbe andato il mondo del dopoguerra, volevamo inserirci in quella realtà dinamica che si andava profilando: eravamo perciò avidi di scambiarci le idee e le esperienze intellettuali, di assorbire le ultime novità tecniche e scientifiche. Gli scambi di informazioni e opinioni in particolare, e la guida discreta ma attenta del Rettore professor Bernardi, consentivano un’apertura a tutto campo sul mondo di cui gli altri, anche nelle grandi città e nelle grandi università, raramente usufruivano”.

“Nonostante le nostre storie personali spesso ruvide, per forza degli eventi, vi era, in Collegio, il massimo ordine, la pulizia più scrupolosa dovunque; anche le nostre discussioni nella sala da pranzo o sotto i portici non erano mai chiassose. Ciascuno rispettava le opinioni politiche e religiose degli altri”. Lo stesso rispetto viene dimostrato dall’istituzione nei confronti degli studenti, già a partire dalle piccole cose: “Vi era in Collegio anche una biblioteca specializzata, nelle varie discipline dei nostri studi. Era, per me, una miniera preziosa, data la sua particolare ricchezza di libri d’economia, dovuta anche al lascito del giovane economista Lamberti Zanardi, allievo di Einaudi, immaturamente scomparso. Nella Biblioteca ghisleriana si poteva entrare liberamente, praticando la lettura ai tavoli vicino agli scaffali. Il Collegio era fondato sulla fiducia: non si pensava che uno studente potesse portare via un libro abusivamente o spostarlo dal posto senza poi riporlo dove lo aveva preso”. Lo stesso valeva per le altre infrastrutture a disposizione degli studenti: Forte ricorda fra l’altro “la sala scherma, il campo di pallacanestro e, sotto i portici, sulla destra, la stanza-deposito per le biciclette”.

Ma è nella capillare ricostruzione dell’atmosfera della vita quotidiana in Ghislieri che il racconto di Francesco Forte lascia trasparire l’avida fame di vita che caratterizzava i primi anni del dopoguerra. “Eravamo molto gelosi dei nostri vari diritti”, conclude, “come quello di ospitare nella nostra stanza chiunque, quello del rientro serale sino a mezzanotte, e quello di scegliere il menù preferito, fra tre primi, tre secondi e tre dessert. La verdura si trovava, in piattoni, su un tavolo centrale e ciascuno ne poteva prendere a piacere. Anche per i primi si poteva fare il bis attingendo a zuppiere sul tavolo centrale (cosa per me impensabile, data la dimensione delle porzioni che dai camerieri ci veniva portata). Avevamo, nella sala musica, un’ampia dotazione di dischi di musica classica e leggera. Il jazz era particolarmente apprezzato in quel dopoguerra, assieme ai nuovi cantanti americani più recenti, e i ghisleriani attratti dal mito americano avevano provveduto ad aggiornare la nostra collezione di dischi. Gli studenti avevano diritto a dare suggerimenti anche per l’acquisto di libri e giornali, che l’amministrazione sorvegliava con la mentalità pavese: che non è affatto avara né gretta, e neppure severamente austera, ma è ben misurata. C’era la sala della radio, ove si ascoltavano, la sera, i notiziari e i dibattiti fra esperti sui fatti del giorno; ma era anche possibile sintonizzarsi sui canali in altre lingue. Nella sala di lettura vi era un’ampia dotazione di riviste e giornali. Avevamo l’Unità, il Popolo e l’Avanti perché gli alunni, avidi di dibattito politico, li avevano chiesti assieme ai grandi quotidiani e alla Provincia Pavese, indispensabile per sapere che cosa c’era al cinema e le notizie locali. C’erano vari giornali sportivi, date le diverse preferenze della tifoseria ghisleriana in fatto di calcio e ciclismo. Qualcuno – a me capitava spesso – arrivava tardi alla colazione e magari finiva per perderla (alle 9 in punto la porta di ingresso del refettorio veniva chiusa) perché si era intrattenuto a leggere”.

Grazie a un accordo con Google Books, sta venendo digitalizzato il patrimonio d’archivio della Biblioteca del Collegio Ghislieri, da cui deriva l’opuscolo di Francesco Forte, Sotto i portici di Pavia. Ricordi del Collegio Ghislieri e di Pavia, strenna della Banca Popolare di Sondrio del 1999. La sua carriera si colloca nella corposa tradizione di civil servant che hanno frequentato il Ghislieri da studenti. Precedenti puntate di “Letture ghisleriane” sono state dedicate alla Liberazione del Collegio dai soldati tedeschi nel 1945, alle prime conseguenze degli episodi di rivolta in Collegio a fine Ottocento e al tentativo da parte degli Alunni in corso di trasformare il posto in Collegio in fruizione di una borsa di studio nel 1890.