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Su Pasolini, “Petrolio” e Francesco Forte – Intervista a Walter Siti

“Più che dire che Carlo Valletti sia modellato su Francesco Forte, credo che il personaggio di Carlo, che già esisteva, sia stato riadattato su suggestioni che venivano a Pasolini dalla storia di Forte”. Walter Siti – Premio Strega 2013 con Resistere non serve a niente e già docente alle Università di Pisa e dell’Aquila – è impegnato nella nuova edizione critica di Petrolio, che Garzanti pubblicherà entro l’estate; un’edizione profondamente rinnovata che triplicherà l’apparato di note rispetto a quella della corrente edizione nei Meridiani Mondadori, curata dallo stesso Siti con Silvia De Laude e risalente al 1998. Diventeranno dunque possibili nuove chiavi di lettura per uno dei romanzi più intricati e misteriosi della letteratura italiana. Con Ghislieri.it Siti accetta di parlare, alla luce del proprio lavoro, per un approfondimento riguardo alla possibile identificazione fra Carlo Valletti, protagonista di Petrolio, e Francesco Forte, Alunno del Collegio Ghislieri dal 1947, a lungo dirigente dell’Eni e più volte titolare di incarichi ministeriali. Lo stesso Forte aveva rilasciato al riguardo qualche settimana fa una lunga intervista ad Alessandro Gnocchi, pubblicata dal Giornale e ripresa dal nostro sito.

Un’identificazione piana è complicata, e forse esclusa, dalla forma stessa di Petrolio: romanzo che Pasolini definisce “a brulichio” e non “a schidionata”, ossia non coerentemente sviluppato da un inizio a una fine bensì prodotto da un vorticoso accavallarsi di testi incompleti e parziali, talvolta volutamente in contraddizione fra loro. Gli appunti di Pasolini abbondano di considerazioni spiazzanti: “Questo romanzo non comincia”, è composto da “pezzi narrativi […] in sé perfetti” di cui non si può capire “se si tratta di fatti reali, di sogni o di congetture fatte dal personaggio”, quindi “è comprensibile che il lettore resti un po’ disorientato”, e l’oggetto della narrazione “non si è svolto nello spazio della realtà ma della mia immaginazione”, così come “il tempo di questo libro non è unilineare” in quanto “non ho intenzione di scrivere un romanzo storico, ma soltanto di fare una forma”. Soprattutto, dalle parole di Pasolini è chiarissimo che Petrolio “non rimanda che a se stesso”, per quanto l’autore avesse accumulato capillarmente materiale d’archivio tratto dalla cronaca, a cominciare dalle celebri schede dei servizi segreti svelate da un’inchiesta dell’Espresso.

Ulteriormente complica le cose la tormentata storia editoriale del romanzo, al quale Pasolini stava lavorando al tempo della sua uccisione, nel 1975, e che apparve postumo solo nel 1992 per i tipi di Einaudi. “Tutto l’apparato formale del testo”, spiega Siti, “nelle intenzioni di Pasolini doveva essere una specie di edizione critica di un romanzo non finito; Pasolini affabulava di inserire in una prefazione il fatto che l’autore di questo romanzo fosse morto prima del tempo, lasciandolo incompiuto, per l’edizione critica fittizia. La morte di Pasolini ha creato un corto circuito impressionante: ci troviamo a editare un romanzo non finito che, da finito, avrebbe dovuto assumere la forma di romanzo non finito. Si verifica un circolo vizioso per il quale non sappiamo quanto la non finitezza sia legata al fatto empirico della morte di Pasolini stesso o quanto invece non fosse prevista nel suo progetto di un romanzo non finito”.

Sembrerebbe a prima vista ardimentoso voler stabilire dei confini certi fra antefatto e fatto, fra realtà e immaginazione o, volendo esagerare, fra contesto e testo. “La cosa è abbastanza complicata”, conferma Siti. “Ad esempio dall’edizione Roncaglia (quella Einaudi del 1992) era stata esclusa una pagina che io adesso ho deciso di inserire nella nuova edizione Garzanti, in cui si dice espressamente che Carlo dovrebbe aiutare Cefis nell’assassinio di Mattei e dopo, addirittura, collaborare all’assassinio di Cefis stesso. Solo che, in fondo alla pagina, Pasolini ha scritto tra parentesi tonde ‘appunto da distruggere’, ed era la ragione per cui era stato tolto. Io però lo rimetto: non sono affatto sicuro che questo ‘appunto da distruggere’ volesse effettivamente dire ‘distruggilo’, poiché altrimenti Pasolini l’avrebbe preso e buttato nel cestino. Potrebbe invece trattarsi di un gioco metaletterario, che lasci nel testo definitivo appunti cosiddetti ‘da distruggere’. Pasolini, tuttavia, fa un oggetto linguistico, dicendo che è una messa in discussione del romanzo tradizionale. Da questo punto di vista quindi la questione della permeabilità o impermeabilità fra Petrolio e la realtà è illusoria: di fatto il romanzo si presenta come oggetto linguistico, per cui il rapporto fra testo e contesto credo vada considerato lo stesso degli altri romanzi, per quanto d’avanguardia”.

È entro queste premesse che bisogna analizzare la possibilità di identificazione fra personaggio, Carlo Valletti, e persona reale, Francesco Forte. Alcune pagine di Petrolio – ad esempio l’appunto 32b, che descrive i partecipanti a un evento mondano – sono evidentemente à clef: accurate descrizioni permettono di riconoscere, dietro personaggi anonimi, dei riconoscibilissimi Moravia e Andreotti, oltre che un cammeo di Pasolini stesso. Leggere tutto Petrolio come trasposizione della realtà su un piano di mera pseudonimia sarebbe invece decisamente riduttivo, tradirebbe lo spirito stesso della complessa operazione letteraria imbastita da Pasolini.

Anche se, argomenta Siti, “la situazione del manoscritto aiuta, per quel che concerne Forte. La prima volta che viene fatto nel dattiloscritto, il suo nome non apparare battuto a macchina ma è aggiunto a penna – semplicemente “Forte” – su un appunto dell’8 settembre 1973”. Si tratta di una nota che Pasolini aggiunge tramite asterisco in cima alla scaletta in cui cataloga gli appunti, dotata di grande rilievo nell’edizione Mondadori in quanto posta subito prima dell’inizio del romanzo, o meglio della raccolta di appunti numerati che lo costituiscono. “È una nota talmente isolata dal contesto che i primi editori hanno addirittura pensato si trattasse di un’indicazione di luogo, cioè Forte dei Marmi, e che fosse stata aggiunta semplicemente per segnalare dove fosse stato scritto quell’appunto, come ogni tanto fa Pasolini. La data però è particolarmente significativa: il giorno prima, sul Corriere della Sera, era uscito un articolo di Massimo Riva intitolato ‘Forte attacca Girotti per i segreti dell’Eni’. L’articolo si riferiva alla minaccia di dimissioni, da parte di Forte, qualora l’Eni avesse acquistato il Tempo, che era considerato un giornale di destra. Pasolini aveva letto quest’articolo e un articolo di risposta sul Tempo, che prendeva le distanze da Forte e lo definiva uomo scisso in quanto, scriveva l’articolista, ‘mantenuto dallo Stato per fare un’opposizione di sinistra a coloro che governano’”.

“Ho allora l’impressione abbastanza netta”, continua Siti, “che, fino a quel momento, Pasolini avesse già impostato il personaggio di Carlo sulla scissione; una scissione però soprattutto sessuale, tra Carlo di Tetis e Carlo di Polis, con un classico tema del doppio in cui un uomo viene diviso in due, un angelo e un diavolo se ne contendono il corpo in modo medievale, e così via. Quindi il personaggio stesso era pensato sin dall’inizio come personaggio scisso. Leggendo queste cose su Forte, ho l’impressione che a Pasolini sia venuta l’idea di aggiungere alla scissione sessuale quella politica: gli serviva un personaggio nato a sinistra che però potesse prestarsi a disegni di destra. Questa improvvisa nota a penna potrebbe dire: vediamo se la mia idea di personaggio scisso si può adattare a un personaggio esistente, a questo Francesco Forte. E infatti è da quel momento che Pasolini inizia a prendere informazioni su Forte, cosa che prima non aveva fatto”.

Che della reale persona di Forte resti concretamente poco nella costruzione del personaggio di Carlo – anzi nel doppio personaggio di Carlo – può essere giudicato dalle caleidoscopiche, non di rado contraddittorie, sue descrizioni che Pasolini semina con discontinuità fra i suoi appunti. Carlo, scrive, “ha un corpo lungo e magro”, un “corpo di piccolo borghese intellettuale”; ma è anche “alto, un poco opulento, come un uomo che da giovane avesse fatto del nuoto, con un certo sorriso beato stagnante negli occhi chiari, la bocca tumida col labbro superiore un poco sporgente”; è altresì dotato di “un atteggiamento umile, un po’ curvo”; i suoi capelli sono di un “biondiccio settentrionale” che, a un certo punto, si fa “più duro e tetro”, prima di diventare “stupendi capelli bianchi tagliati corti ma non troppo”; ha “una faccia sana, tirata, abbronzata, dalla mitezza vagamente implorante e un po’ ubriaca degli occhi cerulei”;  “è un ingegnere: se, cioè, è abbastanza intellettuale per vivere le contraddizioni sociali e politiche del nostro tempo, non lo è abbastanza per viverle attraverso quella coscienza che assicura l’unità dell’individuo”; “non era un intellettuale, sensibile e compassato, ma un uomo di azione e di potere”; “è un cattolico progressista, di formazione sostanzialmente laica, aperto alle esperienze empiriche di un lavoro avanzato e spregiudicato”; viene da “buona famiglia borghese”. Forte, laureato in Giurisprudenza, è un economista specializzato in Scienze delle Finanze ed è caratterizzato da una lunga militanza nel Partito Socialista, oltre ad avere ricoperto dagli anni Cinquanta incarichi di alta levatura intellettuale nell’ambiente accademico.

Illuminante riguardo a queste contraddizioni è l’appunto 99, in cui Pasolini scrive: “Un personaggio solo, quell’unico che conoscevo, non bastava a fare una storia: occorreva almeno un antagonista. Feci perciò quello che usano fare in genere i romanzieri: cioè da un personaggio reale, che conoscevo, ne feci due. […] Ebbene, quando mi trovai con questi due personaggi inventati, e così oggettivamente distinti l’uno dall’altro, capii che essi erano in realtà un unico personaggio, e che, se erano antagonisti, il loro antagonismo era in realtà una lotta interiore” fra “due simboli opposti di una realtà pur unica”. Talmente opposti e talmente poco conciliabili alla realtà che a un certo punto Carlo di Tetis, l’incarnazione dionisiaca e perversa del doppio, si tramuta addirittura in donna.

“Il nome del personaggio di Carlo è quello del padre di Pasolini, ma questo si sa”, conclude Walter Siti. “Per la maggior parte Carlo è Pasolini stesso, un personaggio autobiografico, proiezione dell’autore almeno al 60 o 70%. Ma c’è una cosa curiosa: mentre all’inizio la finzione del padre è mantenuta e Carlo è detto essere di Ravenna, come era effettivamente il padre di Pasolini (tanto che ancora in vari punti di Petrolio si parla di lui come romagnolo), a un certo punto Ravenna viene cassata a penna e sopra ci viene scritto ‘Torino’. Di colpo, Carlo diventa piemontese. Effettivamente in quel periodo Forte insegnava a Torino. Questa variazione deriva da ciò che Pasolini più o meno sapeva, dalle informazioni che aveva ricavato di Forte, dal fatto che avesse appreso che era un professore e insegnava lì”. Questo dettaglio della provenienza di Forte può essere una chiave interpretativa non da poco: dimostra che a Pasolini Forte interessava come personaggio pubblico, e come tale simbolo, ma non già come privato individuo, essendo difatti nato a Busto Arsizio e avendo vissuto in Valtellina prima di iscriversi all’Università di Pavia, tutti luoghi mai citati in Petrolio. “E poi Torino per Pasolini era molto suggestiva perché stava leggendo Gozzano. Non sapeva come affrontare il tema di una famiglia borghese quindi si affida moltissimo ai ricordi di Gozzano, ad esempio nel ricostruire la villa della famiglia Valletti nel Canavese. Come sempre, quando uno sta immaginando un romanzo, ci sono vari filoni che poi si uniscono per dare un risultato unico”.