
Come se fosse troppo evidente per farci caso, spesso sfugge che il principale patrimonio di cui dispone il Collegio Ghisleri sia il Collegio stesso: inteso come palazzo, il corpo storico che decora Pavia dal XVI secolo e dove tuttora è alloggiata una metà degli studenti (in camere ovviamente ammodernate). Vivere in Ghislieri significa anche e prima di tutto vivere in un monumento. E se chi ci trascorre tutti i giorni sembra temporaneamente dimenticare questo aspetto così lampante, è proprio perché in Collegio non si respira un’aria da museo, e tutte le aree – quelle storiche come le più moderne – sono lasciate al libero accesso degli studenti e vengono utilizzate non solo per eventi straordinari ma per ogni aspetto della vita degli universitari. La prova visibile di questo approccio sta in un dettaglio che colpisce immancabilmente i visitatori: appena entrati nel maestoso Quadriportico su cui dà l’ingresso del Collegio, si notano addossate alle colonne centinaia di biciclette, quelle che gli studenti ogni giorno usano per andare a lezione o in giro per la città.
In questa coesistenza fra passato e presente, fra arte e concretezza, sta molto del senso del Collegio. Vivere in Ghislieri significa anzitutto abituarsi quotidianamente alla bellezza, e a considerare casa una struttura imperniata su un palazzo progettato da uno dei più grandi geni dell’architettura italiana: Pellegrino Tibaldi (1527-1596), detto il Pellegrini, l’inventore della torsione barocca.

“Pio V, rivolgendosi a Tibaldi, fece una scelta che dava garanzie in termini di qualità, nella piena consapevolezza che l’architetto avrebbe dato esecuzione a tutte le direttive che gli sarebbero state impartite”, spiega il nostro Alunno Gianpaolo Angelini, Ricercatore di Storia dell’arte moderna all’Università di Pavia, nel capitolo “Ghislieri anno zero” del volume collettaneo Ghislieri450. Un laboratorio d’intelligenze (a cura di Arianna Arisi Rota, Einaudi 2017). “Tibaldi si rivelò professionista di estrema duttilità nei confronti del Pontefice. Basterà ricordare il rigore dei prospetti esterni del Collegio Ghislieri, trattati a semplice intonaco, da cui emergono solo la mole imponente della torre e la ricercata policromia dei marmi del portale munito di colonne ioniche, oppure la presenza di una cappella autonoma rispetto al quadrilatero del palazzo, conformata in una croce greca che interseca un ottagono e infine la scelta di alternare nel livello superiore del Quadriportico due lati a loggiati e due lati finestrati”.
Il fascino del Palazzo del Ghislieri è austero, come si conviene a un Collegio fondato da un pontefice domenicano non immemore della struttura dei conventi del proprio ordine. “L’assetto distributivo interno si organizza intorno al Quadriportico”, continua il dott. Angelini, “su cui affacciano tutti gli spazi della vita collettiva. Il Refettorio si colloca nell’ala occidentale e non era originariamente comunicante con il cortile; a esso si accedeva tramite due sale di minore cubatura collegate a una scala di servizio, a quattro rampe, posta nell’angolo sudovest del quadrilatero. Al piano superiore era presente, sino alla riforma operata nel Settecento, un atrio aperto che tagliava ortogonalmente, sull’asse mediano, il corpo di fabbrica a sud, verso il giardino; questo spazio, denunciato dalla presenza di una volta a crociera, avrebbe in seguito ospitato una statua monumentale del Fondatore ora visibile in cortile”.
Nel frattempo il Pellegrini legava la propria fama anche all’edificazione della chiesa di San Carlo al Lazzaretto, a pochi passi da Porta Venezia a Milano; un edificio ecclesiastico in cui il passante ghisleriano non fatica a cogliere più d’una somiglianza con le geometrie del Collegio. Nel 1585 tuttavia fu convocato a Madrid da Re Filippo II d’Asburgo, per lavorare a una parte dell’Escorial; gli succedette nei lavori l’architetto milanese Martino Bassi (1542-1591).

“Costui propose una serie rilevante di modifiche al progetto pellegriniano”, spiega il dott. Angelini, “riguardanti l’atrio di accesso al giardino trasformato in una grande esedra con doppi binati di colonne e l’aula pubblica della Cappella ruotata di novanta gradi, in modo da allineare la facciata a quella del Collegio lungo il profilo della piazza. A queste modifiche non fu dato porto, poiché derogavano dai programmi di austerità e misurata magnificenza di Pio V. Tuttavia tramite Martino Bassi le sperimentazioni pavesi trovarono eco nella prima fase progettuale del collegio gesuitico di Brera, assumendo in breve tempo il valore di modelli prestigiosi e imprescindibili nel settore dell’architettura per l’educazione e delle residenze collettive in Lombardia”.
Al Palazzo del Collegio, e allo sterminato patrimonio artistico e storico che contiene, Gianpaolo Angelini ha dedicato un volume illustrato altrettanto monumentale: Il Collegio Ghislieri di Pavia 1567-2017 (Mondadori Electa).