Fra le più significative memorie sulla storia del Ghislieri ci sono pagine che il nostro Alunno prof. Giulio Guderzo – storico di chiara fama – ha raccolto dal prof. Domenico Bo, anch’egli nostro Alunno, Vicerettore del Collegio nell’anno accademico 1945-’46. Il saggio che vi proponiamo di rileggere integralmente, disponibile cliccando sul titolo, è: Domenico Bo, Ghislieri 1945: Ricordi di un protagonista (con introduzione e note di Giulio Guderzo), reperibile nel “Bollettino della Società Pavese di Storia Patria” 107 (2007), pp. 441-75.
Astigiano, nato a Mombaruzzo nel 1916, Domenico Bo entrò in Ghislieri il 5 novembre del 1937, trasferendosi a Pavia dopo un anno di studi a Milano. Guadagnò rapidamente la fiducia del Rettore, Pietro Ciapessoni, che subito volle indirizzarlo presso l’insigne classicista Lenchantin per consentirgli di specializzarsi – già a partire dal secondo anno, quindi ancora “fagiolo” – in filologia latina. Nel Ghislieri di fine anni Trenta, Bo poté legarsi in amicizia ad Alberto Caracciolo, a Romeo Crippa (presidente della sezione pavese della FUCI), a Franco Dordoni e a Teresio Olivelli.
Bo conseguì la laurea il 18 giugno del 1940, otto giorni dopo l’ingresso dell’Italia in guerra. Il Rettore Ciapessoni, anche per garantirgli una licenza militare, lo indirizzò a specializzarsi in letteratura latina e filologia classica in Germania, al seguito di Johannes Stroux, luminare dell’Università di Berlino; l’ambiente della locale facoltà filologica gli fa tuttavia rimpiangere, scrive a Ciapessoni, “le nostre belle feste goliardiche del Collegio”. A fine anno accademico, nel giugno 1941, Bo dovette rimpatriare e riprendere il servizio militare, venendo destinato a comandare un battaglione di “meravigliosi alpini, tutti montanari della val di Susa e dell’Appennino piacentino, molti dei quali padri di famiglia”, di stanza in Montenegro. La responsabilità del comando – a soli 25 anni – si unì in Bo a un legame incrollabile col Corpo, tanto che un articolo de La Stampa ne riporta ancora l’orgogliosa presenza, esattamente centenario, al raduno degli alpini astigiani nel 2016.
Né venne meno il legame col Collegio, nonostante le difficoltà della guerra. Ferito al viso ai primi di marzo del 1942, Bo sopravvisse pressoché miracolosamente venendo poi trasferito dapprima a Scutari, poi a Foggia e infine, nella primavera del 1943, presso la clinica Eastman di Roma dove, benché distante da Pavia, poté ricevere concretamente la vicinanza della comunità ghisleriana. “Con Ciapessoni”, racconta Bo, “ero in comunicazione epistolare per il grande interesse sempre mostrato nei miei riguardi, come per tutti gli alunni di cui aveva stima. Per me era il Rettore e la sua figura era inscindibile dal Collegio. Appena saputo della mia ferita, incaricò il prof. Franco Dordoni, aiuto del ghisleriano prof. Vittorio Erspamer, titolare di Farmacologia all’Università di Roma, il cui Istituto distava poche centinaia di metri dall’Eastman, di portarmi l’attestato di solidarietà sua e del Collegio. Dordoni, scapolo, libero da impegni familiari, mi fu fraternamente molto vicino nei momenti più critici della mia degenza. Ogni sera, prima di rincasare, mi faceva visita, mi teneva compagnia e insieme si parlava del Ghislieri”.
Bo restò all’Eastman da aprile a settembre dell’anno dell’Armistizio. Furono mesi decisivi non solo per tutta l’Italia ma anche per il Collegio, dove l’attività accademica procedeva con la massima possibile regolarità. Ciapessoni, che era stato destinato ad altro incarico, manteneva la carica di Rettore ad interim mentre era stato convocato un concorso per succedergli; ne risultò vincitore Teresio Olivelli, poco prima che Ciapessoni morisse improvvisamente, il 29 aprile 1943. Si creò così una sorta di vuoto di potere. Olivelli, rientrato dalla campagna di Russia, dovette far coesistere la nuova carica di Rettore con l’impossibilità di venire esonerato dagli obblighi militari; il vicerettore, Aurelio Bernardi, non aveva nascosto l’intenzione di rimettere l’incarico e, per sostituirlo, già Ciapessoni aveva individuato lo stesso Bo. Quest’ultimo ne ricevette la comunicazione informale dall’economo Palmiro Vidari, figura che si sarebbe rivelata decisiva per la sopravvivenza del Collegio nei duri anni che si prospettavano, e che Bo descrive “fedelissimo custode del Collegio, cui si mostrò sempre attaccato, alla pari, se non più che alla sua casa”; fece seguito una richiesta esplicita da parte di Olivelli, anch’egli alpino, che Bo ricorda “dinamico, pieno di progetti e di ardore, nemico della burocrazia” e tutto volto al bene del Collegio.
Giunse il 25 luglio, giunse l’8 settembre, che Bo trascorse sempre ricoverato a Roma fino a che, a fine mese, con non poca avventatezza si mise in viaggio verso il Nord. Sfuggito a un rastrellamento da parte dei tedeschi, facendo affidamento sull’ospitalità di un altro collegiale astigiano, Riccardo Zandrino, dopo giorni di viaggio Bo riuscì a raggiungere dapprima la propria famiglia e poi il Ghislieri. Ospite in casa dell’economo, apprese che Olivelli era stato costretto a lasciare il Ghislieri in luglio, assegnato a un reggimento dislocato in Alto Adige; dopo l’armistizio, non si avevano sue notizie. Come Rettore pro tempore era stato designato un Alunno docente universitario, Maffo Valli. Quanto al Collegio, racconta, “era stato occupato dalle SS, che lo avevano saccheggiato, asportando mobili e materassi e perfino gli indumenti personali del Rettore. Si era cercato di salvare il salvabile occultandolo parte a Palazzo Botta, parte al Castello di Lardirago”.
Prima dell’arrivo di Bo, l’economo Vidari era il solo a dover far fronte ai soprusi delle SS, e così poté ottenere sostegno. “Dopo pranzo”, racconta, “insieme al sig. Vidari andavo in convitto. Quando era necessario gli facevo da interprete, colloquiavo con i capi delle SS, analizzando e spiegando loro le situazioni, mediando sulle loro pretese, cercando sempre di difendere gli interessi del Collegio e la salvaguardia dello stabile”. Passò così più di un anno. Bo era stato designato vicerettore da Olivelli ma non aveva mai ricevuto una nomina ufficiale; alloggiato in casa Vidari dall’aprile 1945, su piazzetta delle Rose, monitorava costantemente i movimenti delle SS, riceveva l’eco distante delle loro feste che sarebbero durate fino a poco prima della resa e soprattutto meditava sulle fosche prospettive: “la peggiore e la più disastrosa sarebbe stata una resistenza a oltranza delle SS asserragliate in esso, edificio-fortezza, facilmente difendibile. In questo caso, nulla avremmo potuto fare. La seconda, che spontaneamente abbandonassero il Collegio, unendosi alle forze tedesche, schierate ai margini della città. In questo caso, si sarebbe subito dovuto provvedere a prendere possesso dell’edificio per evitare l’assalto di bande di malavitosi, essendo notorio che nelle sale e nei locali a pian terreno verso via Volta, trasformati in magazzini, esistevano consistenti depositi di derrate alimentari”.
La mattina del 26 aprile tre camion carichi di SS abbandonarono il Ghislieri, lasciando il portone chiuso ma non a chiave. Bo e Vidari convocarono il personale del Collegio – si presentarono solo i signori Angelo Pirola e Gaetano “Nino” Ragni – e, in quattro, ripresero possesso del palazzo. “Le porte delle camere erano quasi tutte aperte, in gran disordine, con i resti delle gozzoviglie della sera precedente: fiori, bicchieri con residui di champagne, indumenti personali sparsi sui letti e sulle sedie. Finita la perlustrazione e constatato che il convitto era completamente deserto, [chiudemmo] a chiave dal di dentro il portone principale. Eravamo solo in quattro, un numero insufficiente per pensare di presidiare il palazzo”.
Seguì un tentativo da parte di malintenzionati che, millantandosi emissari del CLN, cercarono di impossessarsi del Collegio; sospettati da Bo, e coraggiosamente impediti di entrare, furono alfine scacciati da una squadra comandata da Pietro Prini, valente studioso di filosofia. In questa maniera Bo ricevette alfine le consegne ufficiali per presidiare il Collegio, a nome del CLN. Il suo principale timore era che le SS tornassero a prendere i propri effetti personali quella notte. Il portone venne puntellato con un carro militare dismesso e abbandonato in quadriportico, riutilizzato a mo’ di barricata. Quindi vennero esplorati i magazzini, dove fu possibile rinvenire sia dei generi di conforto sia armi: “In cortile c’erano mucchi di sabbia e sacchetti di iuta. Preparammo i sacchi per proteggere le postazioni delle mitragliatrici. Ne fissai tre: una in cortile davanti al portone d’ingresso, un’altra dalla parte opposta, di fronte all’invetriata verso il giardino, e una terza verso l’uscita in cortile che dà su Piazzetta delle Rose. Ogni postazione era presidiata da due uomini”.
La notte fu interminabile, insonne, ma le SS non tornarono. La seconda notte, racconta Bo, “ci sembrò meno lunga della precedente”. Al mattino del 28 aprile, a soli due giorni dalla Liberazione del Collegio, si presentò tutto il personale; al pomeriggio, previo assenso del Comitato di Liberazione, “giunsero in Collegio, disarmati ed incolonnati, i soldati tedeschi che avevamo visti partire baldanzosi e truculenti in pieno assetto di guerra, a ritirare i loro effetti personali. Li trattai molto umanamente, anche se non lo meritavano. Che cosa avrei dovuto fare di tanti oggetti di gran valore per loro, indumenti, fotografie di genitori, mogli, figli e altro? Avremmo dovuto gettarli fra le immondizie? Mi risuonavano all’orecchio le due parole virgiliane: parcere subiectis”. Ripartiti i tedeschi, Bo si rimise a sistemare il Collegio assieme a tutto il personale; dalle sue parole traspare l’orgoglio per aver appreso a sbrigare mansioni pratiche nel corso della lunga militanza con il proprio battaglione di alpini al suo comando.
L’ultimo tassello fu richiamare in Collegio una decina di Alunni, ai quali offrire ospitalità. “Già a fine maggio 1945”, racconta Bo, “potemmo dare visibilmente prova che l’Istituzione aveva ripreso la sua normale attività”. Purtroppo, negli stessi giorni, giunse la notizia che il Rettore Olivelli era morto in gennaio nel lager di Hersbruck, ucciso in ritorsione di un atto di eroismo. Gli successe Aurelio Bernardi. Grazie all’impegno, all’amore e al coraggio dimostrati da Domenico Bo per il Collegio, il Ghislieri poté riprendere normalmente la propria attività all’apertura del nuovo anno accademico, il 5 novembre 1945. Bo restò vicerettore fino all’estate successiva, diventando poi insegnante di lettere presso i prestigiosi licei di Pavia – il Foscolo e il Taramelli – salvo poi trasferirsi a Torino dove nel 1962 ottenne la libera docenza in Università. Nel 1971 ottenne la cattedra di Lingua e letteratura latina, che mantenne fino alla quiescenza nel 1991.
“Dal Ghislieri tanto avevo ricevuto”, conclude nelle sue memorie, “e per questo avevo cercato di mostrarmene grato dal momento in cui, per rendermi utile, avevo lasciato, per l’azione decisa dell’amico Rettore Olivelli su di me, la clinica romana sino ai drammatici giorni della Liberazione del Collegio dalle SS tedesche e oltre. Molto, in conclusione, l’amato Ghislieri mi aveva dato. Qualcosa – pensai allora e ancora penso – gli avevo restituito”.