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Per il Darwin Day – Dai fringuelli delle Galapagos al software Rosetta

Lo scorso anno Ghislieri.it ha festeggiato il Darwin Day con una rilettura di Chi siamo. La storia della diversità umana, caposaldo della divulgazione scientifica scritto da Luigi Luca Cavalli Sforza. Al nostro grande Alunno, celebre genetista, è appena stato dedicato un sito monografico per consentire a tutti di poter leggere i suoi scritti. Per il Darwin Day di quest’anno Ghislieri.it propone invece l’intervento di una studentessa in corso: Beatrice Pavesi, ghisleriana dal 2018, iscritta al primo anno di laurea magistrale in Biotecnologie mediche e farmaceutiche e, più specificamente, impegnata nello studio dell’applicazione dell’intelligenza artificiale alla biologia molecolare e del design ex novo di proteine. A Beatrice Pavesi, membro dell’associazione studentesca Indiscienza, abbiamo richiesto di prendere spunto dal momento in cui Charles Darwin aveva più o meno la sua stessa età, nel dicembre 1831, quando intraprese una straordinaria avventura che avrebbe costituito la primissima base delle sue teorie.

Appena ventiduenne, Darwin si imbarcò sul brigantino H.M.S. Beagle alla volta di una spedizione cartografica, che lo avrebbe portato in giro per il mondo per i successivi cinque anni. Fu durante questo viaggio che Darwin visitò le isole Galapagos. Durante quella visita di cinque settimane condusse le osservazioni che più tardi lo portarono a concettualizzare le cause dell’evoluzione.

I fringuelli di Darwin - BioPills

Le isole Galapagos, situate nell’Oceano Pacifico orientale, ospitano specie di flora e fauna che non si trovano in nessun’altra parte del mondo. Darwin osservò che le forme di vita, tra cui gli uccelli, si distinguevano leggermente l’una dall’altra tra le diverse isole. Attribuì questa differenza alla varietà dell’ambiente tra le isole. Al suo ritorno in Inghilterra, Darwin consultò un ornitologo e identificò tredici specie di fringuelli, distinti per la forma e la dimensione del becco, associate alle loro diverse diete. Darwin sapeva che i fringuelli erano originari della terraferma del Sud America (dove si trova ancora una sola specie) e concluse che, una volta raggiunte le isole, si fossero dispersi in diversi ambienti e, nel corso di molte generazioni, fossero cambiati anatomicamente – guidati dai fattori ambientali a cui erano sottoposti – in modi che permettevano loro di ottenere abbastanza cibo e sopravvivere per riprodursi.

Questo tipo di evoluzione è noto oggi come “radiazione adattativa“: il fenomeno per cui diverse popolazioni di una specie si isolano riproduttivamente l’una dall’altra adattandosi a nicchie ecologiche diverse, portandole infine ad essere riconosciute come specie completamente diverse.

Darwin inoltre osservò che ogni individuo in qualsiasi popolazione è leggermente diverso dagli altri individui all’interno della stessa popolazione. Quelli che hanno variazioni che permettono loro di rimanere in vita abbastanza a lungo per riprodursi con successo sono quelli che riescono a trasmettere i loro geni (tratti) alla generazione successiva con maggiore frequenza di quelli che non hanno il loro “vantaggio” genetico. Di conseguenza, i tratti trasmessi da questi individui diventano più comuni nella generazione successiva della stessa popolazione, portando alla fine alla diminuzione dei tratti più “deboli”. Darwin ha chiamato questo “discendenza con modifica“. Oggi conosciamo tutti questo processo come selezione naturale.

La teoria di Darwin dell’evoluzione per selezione naturale, pubblicata nel 1859, forniva un meccanismo di selezione per l’evoluzione, ma non un meccanismo di trasferimento dei tratti. Il neodarwinismo, chiamato anche la moderna sintesi evolutiva, denota generalmente l’integrazione della teoria dell’evoluzione per selezione naturale di Charles Darwin, la teoria della genetica di Gregor Mendel come base dell’eredità biologica e la genetica matematica delle popolazioni. Il contenuto e la struttura di un genoma sono il prodotto delle forze genetiche molecolari e di popolazione che agiscono su quel genoma. Le nuove varianti genetiche nascono attraverso la mutazione e si diffondono e si mantengono nelle popolazioni a causa della deriva genetica o della selezione naturale.

Oggi queste conoscenze ci permettono di intervenire sulle basi molecolari dell’evoluzione. Esattamente 50 anni fa è nata la tecnologia del DNA ricombinante, che ha permesso ad esempio di introdurre il gene dell’insulina umana nel lievito per produrla in grandi quantità, invece che estrarla dai cadaveri. In gran parte, la biologia molecolare è servita per trasferire geni preesistenti tra organismi diversi. Il team di David Baker (Università di Washington) mira invece a creare geni e proteine che non esistono in natura. Tutto ciò che accade in biologia – o quasi – avviene grazie alle proteine.

Le proteine sono polimeri lineari la cui unità fondamentale sono chiamati aminoacidi. La natura usa un alfabeto di 20 aminoacidi. Le forze chimiche tra gli aminoacidi fanno sì che queste lunghe molecole filiformi si ripieghino in strutture uniche e tridimensionali. Il processo di ripiegamento, anche se sembra casuale, è in realtà molto preciso. Ogni proteina si ripiega ogni volta nella sua forma caratteristica, e il processo di ripiegamento richiede solo una frazione di secondo. Ed è la forma delle proteine che permette loro di svolgere le loro notevoli funzioni biologiche. Per esempio, l’emoglobina ha una forma nei polmoni perfettamente adatta a legare una molecola di ossigeno. Quando l’emoglobina si sposta nel muscolo, la forma cambia leggermente e l’ossigeno esce.

Le forme delle proteine sono completamente specificate dalla sequenza degli amminoacidi nella catena proteica. I geni del nostro genoma specificano le sequenze di aminoacidi delle tue proteine. La traduzione tra queste sequenze di amminoacidi e le strutture e le funzioni delle proteine è conosciuta come il problema del ripiegamento delle proteine. È un problema molto complicato perché ci sono moltissime forme diverse che una proteina può assumere. A causa di questa complessità, gli esseri umani sono stati in grado di sfruttare il potere delle proteine solo apportando modifiche molto piccole alle sequenze di aminoacidi delle proteine che abbiamo trovato in natura.

Questo approccio è simile al processo che i nostri antenati dell’età della pietra usavano per fare utensili e altri strumenti dai rami e dalle pietre che trovavano nel mondo intorno a sé. Ma gli esseri umani non hanno imparato a volare modificando gli uccelli. È stato necessario invece necessario studiarli per scoprire i principii dell’aerodinamica e utilizzare questi principii per progettare macchine volanti.

In modo simile, il team di David Baker ha investigato i principi fondamentali del ripiegamento delle proteine e codificato questi principi nel software Rosetta. Ora è possibile progettare proteine completamente nuove da zero, al computer. Una volta progettata la nuova proteina, la sua sequenza di aminoacidi è codificata in un gene sintetico. Con la tecnologia del DNA ricombinate il gene può essere trasferito in un organismo ospite – solitamente batteri – che la produce, per testarne il funzionamento e la sicurezza.

Nonostante la diversità in natura, l’evoluzione ha campionato solo una piccola frazione del numero totale di proteine possibili. Poiché la natura usa un alfabeto di 20 aminoacidi, e una tipica proteina è composta circa da 100 aminoacidi, il numero totale di possibilità è dell’ordine di 10130, che è enormemente di più del numero totale di proteine che sono esistite dall’inizio della vita sulla terra. Ed è questa varietà immensa che ora è possibile esplorare usando il design computazionale delle proteine.

Le proteine che esistono sulla terra si sono evolute per risolvere i problemi dell’evoluzione naturale. Ma oggi affrontiamo nuove sfide. Viviamo più a lungo, quindi siamo soggetti a nuove malattie. Stiamo riscaldando e inquinando il pianeta, quindi dobbiamo affrontare pressanti questioni ecologiche. Se avessimo un milione di anni da aspettare, nuove proteine potrebbero evolversi per risolvere queste sfide, ma non abbiamo tutto questo tempo. Invece, ora possiamo progettare nuove proteine per affrontare queste sfide oggi.

Beatrice Pavesi