Domani al Ghislieri lo storico della gastronomia Luca Cesari per “Sale in zucca”

Ha scritto la storia della pizza e la storia della pasta (in dieci piatti), pubblicati entrambi dal Saggiatore. Domani (sabato 13 aprile) interverrà a “Sale in Zucca”, la giornata di apertura del giardino del collegio Ghislieri. Stiamo parlando di Luca Cesari, bolognese, storico della gastronomia, pubblicista e animatore del blog ricettestoriche.it.
“Sale in Zucca” è il secondo appuntamento che il collegio organizza con il corso di laurea di agraria di Pavia sui temi della gastronomia e la produzione agricola. Sabato in prima assoluta – per i non collegiali – ci sarà l’apertura del giardino del collegio (visite guidate già esaurite) e nel pomeriggio, nello stesso spazio ci saranno tre incontri (uno l’ora a partire dalle 15) su cucina e letture. Si comincia con il giallista Marco Malvaldi, segue Luca Cesari e chiude Carlo Alberto Redi che parlerà della carne coltivata. Abbiamo rivolto alcune domande proprio a Cesari.
Il suo libro sulla storia della pasta si conclude con queste parole “l’unica costante della tradizione italiana è il cambiamento”.
«Secondo me c’è innovazione nella tradizione, nel senso che quello che mangiamo, che viene dal passato, spesso ha mantenuto solo il nome, ma sono cambiati spesso molti ingredienti e tecniche di cottura».


Forse certi piatti del medioevo oggi sarebbero immangiabili?
«Non è che cuciniamo meglio, sono cambiate le materie prime, la pizza non si fa più con lo strutto. Sono cambiati i gusti».
Si mangiava meglio o peggio?
«Sicuramente, in media, la popolazione mangia meglio oggi. C’è stato un gran miglioramento sotto tutti i punti di vista. Ma non bisogna dimenticare che nell’Ottocento, o anche prima, c’erano grandissimi cuochi, non avevano nulla da invidiare agli chef gourmet di oggi. Non c’erano le tecnologie, ma tanta forza lavoro a basso costo».
In Italia c’è chi ha chiesto di fare della cucina italiana un patrimonio immmateriale dell’umanità. Cosa pensa?
«Io dico che per fare una cosa simile devono essere dei bravissimi funamboli. Se si guarda un po’ fuori ci si accorge che ci sono tanti altri Paesi con una cucina identitaria forte, Francia, Spagna, India, per dirne alcuni».
Esiste una cucina italiana o c’è una cucina regionale?
«Esistono specialità regionali che, all’estero, considerano italiane. La cucina italiana è facile da riconoscere, ma sono piatti romani, bolognesi, friulani, veneti, come la carbonara, i tortellini, il tiramisù».
Nei secoli c’è stata sempre una cucina dei ricchi e una dei poveri. A Pavia, nei collegi storici, gli studenti erano dei privilegiati. Mangiavano un po’ come i ricchi.
«La cucina è stata usata come uno strumento politico.I banchetti del ’500 erano sport, manifestazioni di sfarzo e ricchezza».
A Pavia siamo nella terra del riso. Perché ha avuto meno successo della pasta?
«Il riso all’inizio era considerato medicamentoso, poi era solo per i ricchi e, nel 900 è stato associato al Fascismo che cercava l’alternativa autarchica alla pasta. Infine le mondine venivano pagate in riso. Era lo stigma della povertà».

Carlo Gariboldi (da “La Provincia Pavese”)