Letture ghisleriane – 1943: Pietro Ciapessoni e la libertà del Collegio

All’inizio della primavera del 1943 Pietro Ciapessoni – insigne giurista e docente di Diritto Romano – stese poche pagine di cenni storici sul Collegio Ghislieri, del quale era Rettore dal 1914. È un volo d’angelo che percorre le tappe fondamentali della storia del Ghislieri dal maggio 1567, quando i primi Alunni vennero fatti accogliere da san Pio V in una sede provvisoria, ai suoi tempi. Introduttivo quantunque, indirizzato alla comunicazione dell’essenza di quattro secoli di storia collegiale a un pubblico non necessariamente avvezzo all’argomento, il breve scritto è tutt’altro che superficiale. A rileggerlo oggi, traspare anzi una costante che assume un nuovo senso se si considera la data apposta in calce, il marzo del 1943, poco prima dell’alba della democrazia: la rivendicazione della libertà del Collegio rispetto ai rivolgimenti politici che, dal Cinquecento al Novecento, lo avevano visto testimone e talvolta vittima.

In queste pagine Ciapessoni si propone di ricostruire cosa ha reso il Ghislieri “il più grande e il più importante Convitto per studenti universitari esistente in Italia”, come definizione corrente all’epoca. Nato dalla “opera vasta e sapiente svolta dalla Controriforma”, ciò che gli consente di essere “fra i pochissimi sopravvissuti degli innumerevoli Collegi sorti accanto agli Atenei d’Italia durante e dopo la fervida rinascenza d’energie e di propositi suscitata dall’Umanesimo, quando Pontefici, Principi e privati parvero gareggiare provvidamente nel favorire la diffusione della cultura superiore” è l’aver saputo mantenere saldo, fra i marosi della storia, il principio fondante che gli aveva dato vita, rifiutandosi di piegarlo alla convenienza politica contingente.

La nascita stessa del Collegio – intesa come concreto accaparramento di suolo su cui edificare o di edifici da riconvertire – viene individuata da Ciapessoni entro un attrito con lo Stato, ossia con “le norme vietanti nel Ducato milanese le alienazioni di immobili da sudditi a non sudditi e ad ecclesiastici”. Il Collegio, spiega Ciapessoni, viene fondato “durante la fase più acuta e critica dei rapporti fra Pio V e Filippo II, e del famoso conflitto fra Stato e Chiesa nel Ducato di Milano”. Ogni tassello dunque della sua istituzione può essere interpretato come cauta ma decisa insistenza sul principio che il Collegio sarebbe stato, per quanto possibile, alieno da ingerenze; a cominciare dal primo regolamento interno, redatto dal cardinale Giovanni Paolo Della Chiesa. “Il Collegio è posto sotto il governo d’una sola persona, il Praefectus o Rettore, di nomina patronale; a questo è affidata tanto la direzione del Collegio quanto l’amministrazione del patrimonio, per la quale sono dettate norme precise, con obblighi di rendiconto semestrale e di periodici controlli generali mediante ispezione”, scrive Ciapessoni. “Gli Alunni, ottenuta la nomina dai Patroni, non potranno ammettersi se non siano stati prima rigorosamente esaminati da apposita commissione, e riconosciuti idonei ad studendum, e non abbiano giurato l’osservanza leale delle costituzioni del Collegio”. Nella stessa direzione va l’affido della suprema giurisdizione sul Collegio a un Protettore unico, “sub cuius alarum umbra et salutari protectione atque defensione Collegium assidue laetetur, crescat, prosperetur, augescat et conservetur, ac contra adversa tamquam forti et solido clypeo muniatur et protegatur”: formula verbosa e affascinante per designare come scopo unico il bene stesso del Collegio, e per difendere questo bene da ogni possibile avversità esterna.

L’inizio dell’attività del Collegio è possibile grazie a un’intensa attività diplomatica esercitata dal Della Chiesa nel contrattare con il potere politico e trovare soluzioni vantaggiose: “Opera ardua”, commenta Ciapessoni, “compiuta con prudenza e perseveranza mirabili. A non pochi dei desideri manifestati da Pio V si risponde con netti rifiuti, e con tenacia che talvolta lo stesso Requesens, ambasciatore spagnuolo a Roma, dichiara eccessivi; gradatamente si ottiene la deroga ai divieti più gravi; finalmente il Collegio può essere costituito, ma Governo spagnuolo e Senato milanese tengono sempre fermo, come condizione assoluta per l’indispensabile loro assenso, l’impegno che il Collegio serbi in perpetuo il carattere laico”.

È a questo paziente lavorio sull’asserzione della propria identità, nonostante le pressioni esterne, che Ciapessoni attribuisce la capacità del Ghislieri di sopravvivere ai tanti convitti fondati a Pavia nel periodo: di undici, in tempo più o meno breve ne rimase superstite solo un altro. Così, la storia successiva del Collegio può essere interpretata in base a quanto margine d’indipendenza i governi gli abbiano lasciato. Ad esempio, “la dominazione di Maria Teresa e Giuseppe II, pur tanto propizia alla rinascita della Università di Pavia, fu fatale per le sorti del Collegio Ghislieri. Il ferreo accentramento aulico da essa instaurato non tollera che un Istituto tanto fiorente sia sottratto alla diretta ingerenza governativa, e resti affidato ad una famiglia e ad un’autorità non ligie a correnti riformatrici, le quali sono bensì dirette anche a sopprimere taluni privilegi e reprimere abusi, ma avversano anzitutto interessi e tradizioni nazionali”. L’Austria infatti, nel corso del Settecento, si prodiga oltremodo per sottrarre il patronato alla famiglia Ghislieri, ben consapevole che è il metodo più certo per privare il Collegio della protezione che ne garantisce la libertà.

Peggio ancora, nel 1796, accade con “l’invasione rivoluzionaria francese”, la quale giunge in Collegio, “gli toglie il nome di famiglia sostituendovi quello di Collegio Nazionale, ne distrae parte notevole delle rendite, e anche in esso compie depredazioni e demolizioni non di rado vandaliche”. Segue Napoleone, che trasforma il Collegio in Scuola militare; commenta Ciapessoni, “occorre appena avvertire che per il Ghislieri questo periodo riuscì particolarmente rovinoso; le opere di adattamento del fabbricato alla nuova destinazione, la gestione da caserma pletorica, lo spregio per emblemi e motivi venuti in odio, lo scarso scrupolo per ciò che l’arte di due secoli aveva reso possibile di adunare pazientemente, il debole controllo, l’arbitrio frequente guastarono sale, dispersero suppellettili, cancellarono decorazioni, sottrassero dipinti, marmi, memorie pregevoli e testimonianze cospicue della florida vita vissuta dal Ghislieri sotto i patronati e protettorati statutari”. Né va meglio sotto Francesco I imperatore, il quale pretende “che gli alunni del Collegio Ghislieri siano scelti solo fra sudditi ritenuti fedelissimi e si educhino anzitutto alla devozione verso l’Austria”. Sono “vane precauzioni”, certo, poiché “anche nel Ghislieri l’amore per l’Italia infiamma i cuori e le frequenti espulsioni dei traviati creano nuovi e più fervidi proseliti”; al Risorgimento però il Ghislieri paga un tributo non solo di sangue (come col martirio del Vicerettore Tommaso Bianchi, sacerdote mazziniano) ma anche intellettuale, poiché “gli alunni lasciano di frequente i libri e il Collegio per accorrere a moti insurrezionali”.

C’è tuttavia un modello di fruttuosa interazione fra governo e Collegio, che Ciapessoni individua nel rapporto fra il Ghislieri e l’Italia postunitaria, culminante nell’affido del patronato e protettorato sul Collegio alla più alta carica dello Stato: il Re d’Italia, da cui sarebbe poi derivato l’attuale alto patronato esercitato sul Ghislieri dal Presidente della Repubblica. Quando da avversario il governo si fa custode della libertà del Collegio e degli ideali che lo animano dalla fondazione, il Ghislieri rifiorisce. Racconta Ciapessoni: “Con decreti del 1861 e del 1862, il ministro Francesco De Sanctis dà subito impronta nazionale e moderna all’Istituto, pur reintegrando il rigore dei principii fondamentali degli originarii atti costitutivi. Egli stabilisce che i posti di alunno siano conferiti solo in base ad esami di pubblico concorso, giudicati da commissioni universitarie, e che l’alunno possa conseguire la conferma annuale per requisiti non solo di condotta lodevole, ma altresì di assidua applicazione e segnalato profitto negli studi; sopprime ogni forma di costrizione odiosa, con il criterio che il Collegio deve sempre favorire sensi di dignità e libertà nei giovani, e preparare cittadini di fermo carattere”. Così, continua, “il Patronato del Re d’Italia segna nel Collegio Ghislieri, agli albori della Nazione risorta, l’inizio di una nuova e fervida vita”.

Non è peregrino immaginare che Ciapessoni – nel marzo 1943, poco dopo la battaglia di Stalingrado, all’inizio della rotta delle forze dell’Asse – sentisse di poter testimoniare di persona, “agli albori della Nazione risorta, l’inizio di una nuova e fervida vita”. Lo lascia trasparire nelle ultime righe del breve scritto, dove elogia l’opera del Ghislieri “che sempre si rinnova in perenne giovinezza, e ha dato all’Italia, pure negli ultimi tempi, uomini eminenti e nomi fulgidissimi”, e si augura che “se non verrà mai meno l’antico auspicio”, se tornerà a essere garantita la libera sequela dei principii su cui il Collegio è fondato, il Ghislieri “recherà ancora il suo contributo all’italianità della cultura e all’avvenire della Patria”.

Ciapessoni, tuttavia, non riuscì mai a vedere realizzato nell’Italia democratica l’ideale della libertà ghisleriana. Morì infatti nell’aprile 1943, a soli sessantadue anni, pochi giorni dopo aver accompagnato in stazione il giovane Vicerettore del Collegio Achille Venturini, richiamato in zona di guerra sul fronte sloveno, confidandogli la speranza di rivederlo presto.

Il testo Il R. Collegio Ghislieri per studenti universitari in Pavia (Cenni storici)può essere letto in versione integrale nel volume: Pietro Ciapessoni, Scritti e ricordi. Storia economica e Diritto romano, a cura di Anna Bricchi e con premessa di Dario Mantovani, Ibis, Pavia, 2006. Il volume fa parte della collana editoriale degli Studia Ghisleriana, principiata nel 1948 come miscellanea di saggi e proseguita, a partire dal 1961, anche come collezione di monografie. Tutte le uscite degli Studia Ghisleriana sono disponibili nella Biblioteca del Collegio Ghislieri, il cui patrimonio librario sta venendo digitalizzato grazie a un accordo con Google Books. Precedenti puntate di “Letture ghisleriane” sono state dedicate alla Liberazione del Collegio dai soldati tedeschi nel 1945, alle prime conseguenze degli episodi di rivolta in Collegio a fine Ottocento, al tentativo da parte degli Alunni in corso di trasformare il posto in Collegio in fruizione di una borsa di studio nel 1890 e ai ricordi del concorso di ammissione nel 1947.