La pandemia dei dati – Intervista ad Antonietta Mira e Armando Massarenti

Amazon.it: La pandemia dei dati. Ecco il vaccino - Massarenti, Armando,  Mira, Antonietta - Libri

Numeri e grafici sono al centro dell’attenzione perché condizionano pesantemente le libertà individuali e, in ultima analisi, la vita, nostra e dei nostri cari”. La prof. Antonietta Mira, Professore ordinario di Statistica presso la Facoltà di Scienze Economiche dell’Università della Svizzera Italiana e all’Università dell’Insubria, ha da sempre dedicato ai dati la propria attività, iniziata con la laurea a Pavia ma proseguita con periodi di ricerca in tre continenti, e incentrata sulla statistica computazionale e sui modelli bayesiani con applicazioni alle scienze sociali e alle scienze della vita. Al momento è coinvolta in “Periscope”, un progetto Horizon 2020 relativo al CoVid-19, il cui capofila è il prof. Paolo Giudici (Università di Pavia) in collaborazione col Policlinico San Matteo, con l’obiettivo di investigare l’impatto socioeconomico e comportamentale della pandemia, per favorire la resilienza dell’Europa e renderla più preparata a gestire i futuri rischi su vasta scala.

In occasione della presentazione virtuale in Ghislieri del nuovo libro scritto da Antonietta Mira e Armando Massarenti, La pandemia dei dati. Ecco il vaccino (Mondadori Education), il cui video integrale è disponibile sul canale YouTube del Collegio, gli autori affrontano un colloquio con Ghislieri.it che parte proprio dall’evidente dilagare di numeri e grafici nei notiziari, non sempre accompagnato tuttavia da univocità d’interpretazione. La presentazione, a cura del prof. Carlo Alberto Redi, si tiene nell’aula virtuale del Collegio Ghislieri, con capienza massima di cento posti. Per partecipare, basta cliccare qui e inserire le credenziali (ID riunione: 947 8054 6522; Passcode: 346796).

“Il problema è legato proprio alla qualità del dato, che avvolte non è affidabile quindi si presta a interpretazioni discordanti”, spiega Antonietta Mira. “Da un lato mancano definizioni coerenti e condivise; dall’altro i tempi e le modalità di raccolta sono difformi non solo fra regioni e Paesi ma, all’interno dello stesso Paese, nel tempo sono cambiate definizioni e modalità. Un esempio per tutti: il tasso di positività dei tamponi effettuati è un rapporto. Abbiamo quindi un numeratore e un denominatore. Ci sono differenze nel calcolo di entrambi. Innanzitutto, bisogna chiarire se si contano anche i tamponi di controllo o solo i casi unici testati. In altre parole: se una persona è positiva e successivamente, per uscire dalla quarantena o per controllo, esegue uno o più tamponi, questi vanno contati? Inizialmente non venivano distinti i due casi e avevamo, nelle tabelle ministeriali, solo il conteggio dei tamponi. Ora compaiono due colonne: ‘casi testati’ e ‘tamponi effettuati’, quindi si possono calcolare due rapporti distinti”.

“Inoltre”, prosegue, “in alcune regioni si contano i tamponi antigenici – i cosiddetti tamponi rapidi – mentre in altre no. Queste differenze lasciano spazio a interpretazioni e letture discordi. Con il vaccino mentale che La pandemia dei dati vuole fornire ai lettori creiamo gli anticorpi che proteggono dai pericoli di interpretazioni fallaci e trappole mentali. Alla base dei problemi legati ai ‘coronadati’ sta il fatto che manca la cultura del dato, manca un coordinamento internazionale, mancano definizioni condivise, mancano dati disaggregati e accessibili ma, soprattutto, manca il pensiero critico che dovrebbe aiutare ad affrontare tutte le altre mancanze”.

“Nel nostro libro ci occupiamo diffusamente di questo, che è un problema culturale profondo”, interviene Armando Massarenti, filosofo ed epistemologo, noto al grande pubblico per la direzione del Domenicale del Sole 24 Ore, e da sempre interessato alla connessione fra progresso scientifico e filosofia morale. Non si può nascondere, infatti, che mesi e mesi di emergenza sanitaria abbiano fatto emergere approcci talora superstiziosi alla pandemia e ragionamenti spesso inconseguenti riguardo ai rimedi, spia di difficoltà radicate in Italia rispetto alla scienza e alla logica. “Per questo abbiamo aggiunto al libro un’appendice a uso degli insegnanti di Educazione civica, in cui proponiamo materiali il cui scopo principale è ‘ridare agli italiani pensiero e giudizio’, come scrisse Alberto Savinio all’indomani della Liberazione. Ciò significa usare la logica e pensare con la propria testa invece di agire ‘per ispirazione o per consiglio di un capo, di un superiore, di un sacerdote, di un mago’. Magari trasformando perfino lo scienziato in un mago. I cittadini capaci di pensare con la propria testa si rendono invece loro stessi simili agli scienziati”.

“A ben vedere”, considera Massarenti, “sono proprio gli scienziati ad aver saputo comunicare con maggiore equilibrio durante la pandemia. Il fatto che Angela Merkel sia stata tra i leader di tutto il mondo la più saggia e precisa nel comunicare i reali pericoli, motivando così in maniera credibile le misure da prendere, dipende anche dalla sua formazione scientifica. Una buona formazione scientifica rafforza così l’autorevolezza di una leadership politica. Quando invece gli scienziati vengono buttati in un’arena mediatica come galli da combattimento, è abbastanza probabile che diano il peggio di sé. Invece di mostrare il lato neutrale della scienza si abbandonano a rivalità personali, con ciò gettando ulteriore discredito su una categoria che non lo merita. È in realtà dagli scienziati che, nelle varie fasi della pandemia, abbiamo sentito un po’ di saggezza, sia nello spiegare ciò che si sapeva sia nell’ammettere socraticamente di sapere di non sapere. Un esempio su tutti, l’immunologo Alberto Mantovani”.

Eppure, qualcuno potrebbe obiettare che viviamo in un’epoca d’oro del pensiero critico: il quale tuttavia viene declinato secondo formule peggiorative e inaccettabili. Un antivaccinista, un razzista, un terrapiattista sarà sempre convinto di star esercitando del pensiero critico, e guarderà con sospetto alle persone sensate che cercheranno di distinguere un pensiero critico ‘buono’ dalla sua degenerazione. “I problemi che abbiamo con lo pseudo-pensiero critico”, continua Massarenti, “sono strettamente legati alla diffidenza che da sempre si nutre nei confronti della scienza e dei suoi metodi. I complottisti in stile no vax, o i ciarlatani che propongono cure miracolose in contrasto con la medicina ufficiale, rappresentano una sorta di ‘pensiero critico impazzito’. Hanno sviluppato un pensiero critico fai da te che, in realtà, si nutre dei peggiori pregiudizi ed è pronto a cadere nelle più naturali tra le trappole mentali. ‘Naturali’ nel senso che fanno parte della natura umana”.

“Il pensiero critico di cui parliamo ne La pandemia dei dati”, specifica invece Massarenti, “il vaccino mentale che proponiamo è l’esatto contrario di tutto questo. Innanzitutto perché il metodo scientifico, insieme alla capacità di comprendere ad esempio come funziona un trial clinico, è uno degli ingredienti fondamentali del pensiero critico. Di più. Psicologi e scienziati cognitivi ci hanno fatto capire che i nostri cervelli umani troppo umani cadono in una serie di errori sistematici. Il che li rende in qualche modo più gestibili. Per questo oggi il critical thinking, che getta le sue radici in una bimillenaria cultura filosofica, è una disciplina che si nutre di conoscenze ben consolidate e applicabili, sviluppatesi negli ultimi cinquant’anni e che hanno fatto vincere il premio Nobel per l’economia a psicologi e teorici dei giochi. Nel libro mostriamo che la probabilità e la scienza dei dati sono parte integrante di questo atteggiamento critico, attraverso il quale possiamo gestire l’incertezza. Il tutto deve concorrere alla formazione di cittadini maturi, dotati delle competenze necessarie per vivere nel mondo di oggi”.

Il pubblico, del resto, sembra mantenere un’ambivalenza nei confronti dei dati. Da un lato ne è avido, come dimostra l’attenzione morbosa con cui sono state seguite le quotidiane conferenze stampa durante il lockdown; dall’altro ne è geloso, come dimostra lo scetticismo che ha investito l’app Immuni, nel timore che fornire i propri dati implichi venire controllati. “Noi tutti siamo da un lato fruitori e dall’altro creatori di dati”, riprende Antonietta Mira. “I dati siamo noi e il Coronavirus ci ha dimostrato questo in modo inequivocabile e prepotente. I dati sono amici malati e persone care che non ci sono più. E contiamo sulla nostra pelle il fatto che, rispetto alla prima ondata, i pazienti di Coronavirus ora sono molti di più. Questo da un lato è drammatico, dall’altro ci rende più consapevoli e attenti. Ma proprio perché siamo noi che generiamo i dati, soprattutto i coronadati, devono essere disponibili per i ricercatori che li studiano e ce li ripropongono, per far luce sull’evoluzione della pandemia dopo averli rielaborati”.

“La compresenza in ciascuno di noi del ruolo di creatore e fruitore di dati crea necessariamente delle incoerenze, anche perché i dati sono il petrolio del XXI secolo: contengono informazione che i data scientist trasformano in conoscenza, creando quindi valore”, aggiunge. “Lo dimostra il fatto che le più grandi aziende per capitalizzazione sui mercati mondiali – che fino al 2011 erano Exxon, Shell, Total – sono state sostituite da aziende che vivono di dati, le famigerate GAFA, acronimo utilizzato per indicare Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft: imprese che hanno fatto della generazione e analisi dei dati il loro core-business. Imprese che trent’anni fa praticamente non esistevano. Siamo passati dalle sette sorelle ai cinque grandi fratelli. E, per fortuna, le logiche di mercato fanno sì che non ci sia un unico grande fratello; ovvero, queste aziende tendono a non scambiarsi dati fra di loro. Alcune però sono talmente presenti in ogni ambito della nostra vita che il loro potere è enorme, come ha dimostrato lo scandalo di Cambridge Analytica. Una maggior consapevolezza di queste dinamiche eliminerebbe almeno in parte le incoerenze cui assistiamo”.

Eppure, se c’era una speranza legata ai big data, era l’illusione collettiva che essi rendessero la realtà sempre più monitorabile e prevedibile; l’esatto opposto della sensazione di smarrimento e talvolta di improvvisazione lasciata dal CoVid e dalla gestione dell’emergenza. “La statistica insieme alla biostatistica”, spiega ancora Antonietta Mira, “l’epidemiologia, l’intelligenza artificiale e le scienze computazionali, con approccio interdisciplinare hanno fornito previsioni, disegnato scenari e messo in guardia i decisori. Previsioni non facili, certo, proprio per via di dati di bassa qualità, aggregati e poco accessibili. Ma è il politico che poi, sulla base di queste informazioni, deve operare scelte in un delicato equilibrio fra interessi diversi da tutelare, a volte in contrasto fra loro. Ne La pandemia dei dati affrontiamo anche questi temi, facendo luce sulle dinamiche che guidano certe scelte e facendo appello ancora una volta al pensiero critico, al senso di responsabilità e alla sensibilità sociale dei decisori”.

Il pensiero critico che campeggia sulla copertina della collana “Scienza e filosofia” di Mondadori Education, diretta dallo stesso Armando Massarenti, in cui rientra La pandemia dei dati: su ogni volume, infatti, è riprodotto un ben evidente I think” vergato dalla penna di Charles Darwin. “La grafica rinnovata di questo e degli altri sette volumi della nuova serie di ‘Scienza e filosofia’ mette in maggiore rilievo il simbolo della collana, l’‘I think’ darwiniano, rispetto ai ventuno volumi precedenti”, conclude Massarenti. “Eravamo partiti con Carlo Rovelli che ha pubblicato con noi il suo primo libro, il best seller Che cos’è la scienza, che illustrava i metodi della scienza a partire nientemeno che da Anassimandro. Da sempre, e in modi sempre diversi, la migliore filosofia si sviluppa in stretta connessione con la scienza. Ed è dalla filosofia che, separandosi da essa, storicamente, sono nate le varie scienze. Ma quando le scienze si emancipano, si autonomizzano, si specializzano, sorgono domande inedite, che spesso finiscono per rimettere in discussione gli steccati disciplinari. E così scienza e filosofia saranno sempre coprotagoniste dei pensieri più innovativi. Che è un modo anche per dire – con Karl Popper – che la ricerca non ha fine”.