“La biologia occupa, tra le scienze, un posto marginale e centrale allo stesso tempo. Marginale in quanto il mondo vivente rappresenta solo una minima e assai speciale parte dell’universo noto, di modo che lo studio degli esseri viventi non rivela mai in apparenza leggi generali applicabili al di fuori della biosfera. Ma se, come credo, l’ambizione ultima della scienza consiste proprio nel chiarire la relazione tra uomo e universo, allora bisogna attribuire alla biologia un posto centrale perché, tra tutte le discipline, essa tenta di raggiungere più direttamente il nocciolo delle questioni che è indispensabile risolvere prima di poter anche solo porre in termini che non siano metafisici il problema della natura umana”.
Sono parole di Jacques Monod, da Il caso e la necessità, che il Premio Nobel per la Medicina pubblicò nel 1970. Ma costituiscono anche una delle tante citazioni – forse la citazione chiave, ma sta al lettore interrogarsi e scoprirlo – del nuovo libro di Paolo Mazzarello, il nostro Alunno Professore ordinario di Storia della Medicina presso l’Università di Pavia. Ma Il mulino di Leibniz, appena edito da Neri Pozza, non è un saggio: è un intricato romanzo imperniato su due misteri.
Uno è il mistero che si legge in superficie, quello di un misterioso criminale che si firma Anima Mundi e che, palesandosi tramite messaggi lasciati fluttuare nella Rete e impossibili da rintracciare, si macchia di omicidi e rapimenti, a cominciare da quello di un ricercatore che ha appena compiuto una scoperta estasiante nel campo delle neuroscienze. Una scoperta di cui resta solo traccia in un cartiglio con una misteriosa formula: mL G>TT/Car.
Ma il vero mistero, che forse ancor più può appassionare il lettore, è quello che danza proprio attorno a questa formula, e alle ricerche della prima vittima di Anima Mundi. Il mistero dell’autocoscienza. Ciò che distingue l’uomo dall’animale, infatti, è la capacità di accorgersi del proprio percepire la realtà. Se la coscienza – intesa come capacità percettiva – è comune a tutti gli esseri viventi, in misura maggiore o minore, a definire l’uomo è la capacità di rendersene conto, di poterne ragionare, parlare, definire. E, con tentativi più o meno riusciti, riprodurla.
Il mulino di Leibniz che dà titolo al romanzo non è un vero mulino ma un esempio del celebre filosofo di Lipsia. Se la citazione da Monod è all’inizio della terza parte del romanzo di Mazzarello, quella dalla Monadologia si trova già alla seconda pagina del romanzo: “Bisogna ammettere che la percezione e ciò che ne dipende non si può spiegare attraverso ragioni meccaniche, ossia tramite figure e movimenti. Se immaginiamo una macchina, costruita in modo tale che possa strutturalmente pensare, sentire, percepire, la si potrà concepire ingrandita, conservando le stesse proporzioni, di modo che vi si possa entrare come in un mulino. Supposto questo, visitandone l’interno, si troveranno solo parti che si spingono reciprocamente, mai qualcosa che spieghi la percezione”.
La Monadologia è del 1714. Ma già trecento anni fa – si potrebbe dire, trecento anni prima di Black Mirror – Leibniz non solo immaginava una macchina che fosse in grado di riprodurre la caratteristica saliente degli esseri viventi e aveva compreso che, riproducendo e scomponendo questa caratteristica in varie parti, nessuna di esse sarebbe stata sufficiente a garantirla. Tanto meno lo si può sperare per quel che concerne l’autocoscienza. Non esiste, per così dire, un pezzo che custodisca la specificità umana e che possa essere impiantato altrove. Nessun pezzo del mulino crea il mulino da solo, ma è la loro precisa combinazione secondo un ordine a definirlo. Quindi, dove si nasconde la nostra capacità di accorgerci della percezione? In quale combinazione? E centrerà qualcosa proprio l’Anima Mundi, quella sorta di coscienza universale escogitata dai neoplatonici e che nel medioevo qualcuno si spinse fino a identificare con lo Spirito Santo?
È un problema complesso, probabilmente il problema delle neuroscienze. Ed è un problema che va considerato, come fa Mazzarello man mano che la trama del romanzo si dipana, in una scala crescente di combinazioni. Gli atomi formano le cellule, argomenta un personaggio del romanzo; le cellule il cervello umano, i cervelli umani interagiscono nella Rete internet, che si colloca all’interno dell’universo… Il mulino di Leibniz tenta di venire a capo – oltre che della trama thrilling, con un colpo di scena decisivo che sarebbe piaciuto a Lovelock e Margulis, gli scienziati autori dell’ipotesi Gaia, secondo cui la Terra è un unico immenso organismo vivente – dell’ambizione tutta umana a comprendere cosa ci renda coscienti di essere coscienti.
Un romanzo che, in fondo, ruota attorno alla salace domanda posta da Francis Crick, scopritore del DNA a doppia elica insieme a Watson, e che Mazzarello incorpora. Durante una conferenza a San Diego, uno spettatore alza la mano e commenta: “Se permette, per me non c’è niente di misterioso nel fenomeno della coscienza. Io penso che ognuno di noi abbia nel suo cervello una specie di televisore, per così dire. Tutte le volte che osserviamo qualcosa, si accende una zona del nostro televisore. In fondo così ricostruiamo nel nostro cervello il mondo esterno”. E Crick, fulmineo: “Sì, ma, mi dica, chi è che lo guarda, quel televisore?”.
Paolo Mazzarello, ghisleriano dal 1974, è Professore ordinario di Storia della Medicina presso l’Università degli Studi di Pavia. Fra i suoi libri, ricordiamo Il Nobel dimenticato. La vita e la scienza di Camillo Golgi (Bollati Boringhieri, 2006, ristampato nel 2019 e tradotto in inglese nel 2010 per la Oxford University Press), Il professore e la cantante. La grande storia d’amore di Alessandro Volta(Bollati Boringhieri, 2006, ristampato da Bompiani nel 2020), L’elefante di Napoleone. Un animale che voleva essere libero(Bompiani, 2017). A Ombre nella mente(con Maria Antonietta Grignani; Bollati Boringhieri, 2020) e a L’intrigo Spallanzani(Bollati Boringhieri, 2021), Ghislieri.it ha dedicato due letture approfondite. È membro dell’Istituto Lombardo e dell’Accademia Europaea, e consigliere del Comitato Direttivo dell’Associazione Alunni del Collegio Ghislieri. Nel ciclo di conferenze web “Non fermiamo la cultura”, ha tenuto un intervento su Il Ghislieri e la storia dei contagi.