Nella scena più celebre de La regina degli scacchi, la protagonista bambina – bramando una scacchiera che non possiede – è costretta a immaginarsela sul soffitto. Questa dematerializzazione, che negli anni Sessanta era fantascienza (o allucinazione), oggi è diventata pane quotidiano per gli appassionati di scacchi, dai principianti ai professionisti, grazie alla proliferazione di piattaforme online che consentono di giocare all’infinito su scacchiere immaginarie.
Una di queste piattaforme è Unichess, l’Università degli Scacchi con la quale il Collegio Ghislieri ha concordato che il Maestro Marco Massironi tenesse un corso interno di scacchi, rivolto esclusivamente ai nostri studenti e articolato su due livelli: uno base, che insegnasse i primi rudimenti, e uno avanzato, per chi volesse misurarsi con strategie sempre più complesse. Massironi è attualmente intorno alla centesima posizione nel ranking di tutti gli scacchisti italiani secondo le statistiche FIDE (International Chess Federation); racconta di avere anche lui iniziato da bambino, grazie agli insegnamenti di sua madre, e di essersi affidato a un corso scolastico per poi approdare all’agonismo e al professionismo. Ghislieri.it lo ha incontrato per domandargli se la proliferazione di piattaforme virtuali potrà avere un influsso sullo sviluppo del gioco, non solo facilitandone l’apprendimento ma migliorandone indefinitamente l’abilità dei giocatori.
“Gli strumenti tecnologici come database o piattaforme hanno notevolmente ampliato le possibilità di gioco e di incontro degli scacchisti”, risponde. “Da un lato l’ampia diffusione del gioco permette un generale miglioramento del livello medio: più la base della piramide è larga, più la piramide è solida e stabile per crescere in altezza. Dall’altro lato, tuttavia, in passato l’assenza di mezzi tecnologici costringeva i giocatori a uno sforzo creativo positivo, che si traduceva nell’esistenza di più stili differenti e personali”. Un’analoga situazione concreta aiuta a capire meglio: “L’alfabetizzazione di massa ha portato certamente a una cultura media maggiormente spendibile nell’immediato, ma non è possibile affermare che in un contesto simile emergano attualmente talenti letterari unici come un Dante o un Tolstoj. Anche per questo credo sia difficile, dal mio punto di vista, prevedere i futuri sviluppi del gioco”.
Resta il fatto che gli scacchi ci affascinano, forse perché hanno a che fare con la tensione verso il limite, ossia con la consapevolezza che le combinazioni possibili sono in numero finito – benché elevatissimo – e le mosse sono rigidamente determinate, senza però poter venire contemplate tutte simultaneamente da un cervello umano. “Uno degli aspetti più affascinanti del gioco è certamente la coesistenza di più componenti”, conferma Massironi: “Da quella rigorosamente scientifica, per cui esiste una mossa esatta per una specifica occasione, a quella più creativa e agonistica, per cui esistono mosse esteticamente più valide o più funzionali alla singola situazione”.
“Grazie alla compresenza di questi fattori”, continua, “è possibile che ognuno veda il gioco degli scacchi sotto una diversa prospettiva: un gioco, una sfida, un’opera d’arte o un mistero da decifrare. Naturalmente è poi necessario comprendere le unità elementari del gioco per poterne apprezzare le opere, ma è un assunto che è valido per tutte le forme di linguaggio”. Il corso al Collegio Ghislieri non sembra aver confermato una particolare propensione agli scacchi in base alla specifica formazione universitaria degli studenti. “È storicamente indubbia una forte corrispondenza tra la propensione per gli scacchi e per le materie scientifiche”, spiega, “ma non è una connessione necessaria. La tendenza al ragionamento complesso, alla valutazione di ogni possibilità e alla capacità di visualizzazione e immaginazione è una qualità certamente indispensabile nel buon giocatore, ma non per questo deve trattarsi di uno scienziato tout court”.