Il quotidiano francese “Corse Matin” ha dedicato un articolo alla nostra Alunna Claudia Casella, medico presso l’ospedale di Ajaccio, un’istituzione storica (fondata nel 1581 come “Ospedale dei poveri” dal colonnello Livio Pozzo di Borgo) dove da cinque anni presta servizio come anestesista e rianimatrice. L’autore, Pierre-Antoine Fournil, sottolinea come siano stati fondamentali per la comunità corsa i rapporti pregressi fra la dott. Casella e il personale sanitario degli ospedali di Pavia, che le hanno consentito di prepararsi in anticipo all’arrivo del Covid-19, e indica il suo caso come un esempio virtuoso dell’importanza del confronto fra strutture ospedaliere basato su contatti umani.
Nel corso dell’intervista, la dott. Casella racconta la storia che l’ha condotta ad Ajaccio. “Dopo avere affrontato un po’ di urgenze”, spiega, “ho deciso di rifare una specializzazione come anestesista e rianimatrice. Inoltre mi tentava un’esperienza all’estero, cosa che mi ha portato a svolgere l’ultimo anno di specializzazione come anestesista a Nizza”. Ciò le ha consentito di accorgersi presto delle differenze fra Italia e Francia. “In Italia ci sono dei poli d’eccellenza, come il Policlinico San Matteo dove ho tenuto i miei studi, ma nelle periferie molti ospedali sono inadeguati. In Francia, invece, c’è un livello minimo garantito ovunque”.
Aver mantenuto i contatti col San Matteo, tuttavia, le ha consentito di essere aggiornata tempestivamente sui primi ricoveri. “Dieci giorni dopo”, continua, “l’Italia stava vivendo una vera e propria catastrofe. Ne ho discusso qui col mio primario e con tutti i colleghi, e abbiamo capito che bisognava prepararci, anticipare. È difficile rendersi conto della vastità di una crisi sanitaria quando non la si vive; si tende a negare il problema”. Per questo la dott. Casella esprime gratitudine nei confronti dei propri colleghi pavesi. “Malgrado la situazione critica, sono riuscita a mantenermi in contatto con loro. Sono stati formidabili e ci hanno dato molti consigli pratici e clinici su una patologia che non conoscevamo ancora. La patologia di per sé non è davvero il problema, in quanto è relativamente facile da trattare, benché presenti alcune particolarità. La vera preoccupazione è l’organizzazione, l’architettura: su questo non bisognava commettere lo stesso errore dell’Italia, ossia lasciarsi travolgere dall’enorme afflusso di pazienti. Bisognava prepararsi ad accoglierne molti più del solito”. Il motivo per cui l’Italia è stata più colpita in termini di vittime, continua la dott. Casella, non è dovuto alla disparità di livello fra ospedali bensì al fatto che è stato il primo paese europeo a essere toccato dal virus: “Gli altri paesi d’Europa avrebbero vissuto la stessa storia se fossero stati toccati per primi, a parte forse la Germania che ha un numero enorme di posti in rianimazione”. Quanto al futuro, la dott. Casella è cauta: “Credo sia ancora difficile sapere cosa accadrà”, conclude nell’intervista. “Non si potrà restare confinati fino al vaccino, e la sparizione del virus come per magia è poco probabile. Adesso sembra che il peggio sia alle spalle, ma bisogna essere in grado di gestire l’uscita dal confinamento”.