“Non si deve ricorrere alla scienza per ottenere la Verità ma per pareri tecnici su cui disegnare risposte, leggi politico-amministrative basate su evidenze scientifiche”. A inizio novembre Marco Cappato e Marco Perduca si sono confrontati con alcuni studenti del Collegio Ghislieri per dare avvio al corso interno The right to sciecnce, from law to action, organizzato in collaborazione con l’associazione Science for Democracy e con l’Associazione Luca Coscioni. È l’occasione per sperimentare una formazione multidisciplinare (il corso non è rivolto solo a studenti delle facoltà scientifiche) finalizzata a una maggiore consapevolezza riguardo al diritto alla scienza, un diritto umano fondamentale riconosciuto dall’ONU ma spesso disatteso nei fatti a varie latitudini del mondo.
A margine del corso, tenuto da giovani e autorevoli membri del Committee di Science for Democracy, Cappato e Perduca hanno accettato di illustrare a Ghislieri.it il senso e l’importanza di questo tipo di formazione nell’ambito dell’attuale contesto sociale e politico. Il punto di partenza è la doppia accezione del diritto alla scienza: da un lato, diritto degli scienziati a fare ricerca in modo libero; dall’altro, diritto dei cittadini a beneficiare del progresso scientifico. In questo periodo storico, tuttavia, sembra che parte dei cittadini sia restia o sospettosa nei confronti di tale progresso (è di questi giorni una recrudescenza dello scetticismo riguardo ai vaccini). Il punto di partenza del dialogo con Cappato e Perduca è dettato dunque dall’esigenza dimostrata dall’attualità: quella di azioni che comportino una maggiore sensibilizzazione collettiva non solo rispetto al diritto alla scienza, ma rispetto alla persuasione che la pratica del diritto alla scienza costituisce un effettivo beneficio per i cittadini.
“C’è in realtà un terzo elemento del diritto umano alla scienza”, spiegano Cappato e Perduca: “la condivisione della conoscenza. È qui che le istituzioni devono investire, per promuovere un’informazione corretta basata su dati verificati e verificabili. Esiste anche il diritto a essere informati correttamente! Infatti il Commento Generale sulla Scienza, pubblicato in aprile dal Comitato ONU per i diritti economici, sociali e culturali, ricorda l’obbligo degli Stati a rendere fruibili le informazioni, i dati e gli studi nel modo meno oneroso possibile, facendo proprie le raccomandazioni dell’Unesco circa le modalità aperte e monitorabili dal pubblico e da esperti indipendenti”.
E in questa luce che va interpretato il ricorso alla scienza per ottenerne non delle verità assolute ma pareri tecnici da tradurre in azione politica basata su evidenze scientifiche. “Il coinvolgimento degli esperti”, continuano, “non può seguire le regole della ‘società dello spettacolo’. Come confermato dalle cronache di questi giorni, piuttosto che dedicare il tempo necessario a far informazione corretta e in modo comprensibile da un pubblico non specializzato, veniamo bombardati quotidianamente da polemiche – anche su argomenti centrali della lotta al virus – che nascondono il cuore delle tematiche che si vogliono affrontare (tipo chi e quando stabilisce l’efficacia di un vaccino o da cosa ci renderà difesi) dietro al fumo di scontri o attaci personali pretestuosi, o alla ricerca di clic e condivisioni sui social. A uno scienziato vanno poste domande sul suo ambito di ricerca, non chieste opinioni su tutto lo scibile umano. Le critiche alla politica sono sicuramente utili, purché offerte in corso d’opera e col corredo di dati, piuttosto che di decibel”.
La politica, inoltre, ha la responsabilità di creare uno iato fra la definizione di principii generali come quelli sanciti dai documenti dell’ONU e la loro effettiva messa in atto. Com’è noto, questa discrepanza è particolarmente grave, argomentano Cappato e Perduca, “là dove lo Stato di Diritto è inesistente, o debole, o piegato ai voleri del potere, così che gli scienziati, come tutti del resto, siano a rischio di attacchi e censure, se non di vere e proprie persecuzioni violente. Quando uno Stato non prevede l’effettiva attivazione di meccanismi, rimedi o giurisdizioni capaci di farsi carico delle violazioni dei diritti, o dove non si possono organizzare azioni in difesa delle vittime delle violazioni, il pericolo è una costante”.
“Purtroppo”, proseguono, “non sempre i Paesi democratici si sono rivelati i migliori sostenitori del progresso scientifico o quelli autoritari dei soffocatori della ricerca. La presidenza Trump si è fatta più volte beffa del contributo di eminenti scienziati, mentre Pechino da una decina d’anni investe cifre impensabili in ricerca e sviluppo. Nel caso degli Usa, un Paese dove le proibizioni sulla ricerca sono limitate e dove i laboratori lavorano prevalentemente grazie a finanziamenti privati, si è deciso comunque di investire miliardi di dollari pubblici nella ricerca di un vaccino; nel caso della Cina, dove tutto è statale (ivi compresa l’individuazione delle priorità e obiettivi della ricerca), si è epurato il medico che per primo aveva individuato la letalità di questo nuovo virus. Nel primo caso, una stampa libera di qualità e un’opinione pubblica vivace hanno evitato che gli Stati Uniti scadessero nel peggiore negazionismo; nel secondo, un approccio razionale, ancorché applicato senza guardare in faccia a nessuno, è stato adottato dopo molti morti e la pessima pubblicità globale della gestione a-scientifica di quella che era ancora un’epidemia”.
“Altri due esempi di contraddizioni relative a questi pericoli”, aggiungono, “sono Israele e Iran. In Israele si investe quasi con proporzioni cinesi in tecnologie iper-innovative, e non solo nel settore militare, ma si detengono scienziati whistleblower. In Iran, malgrado ricerche d’avanguardia in alcuni settori, tutto ciò che non sostiene gli interessi nazionali della Repubblica Islamica è passibile di pena di morte perché o blasfemo o sedizioso”.
Il corso interno organizzato dal Collegio Ghislieri con Science for Democracy e l’Associazione Luca Coscioni ha un approccio intrinsecamente multidisciplinare su una prospettiva globale (tanto più che il corso è tenuto in inglese) e si conclude con un’attività pratica, ossia la presentazione di un progetto che verta o sul monitoraggio del diritto alla scienza tramite shadow report, o sugli indici di autodeterminazione che vagliano la messa in atto del diritto alla scienza, o su storia e implicazioni del diritto alla scienza in Italia. È dunque un tentativo di integrare i percorsi di studio tradizionali con una struttura-ponte fra ambiti che talvolta non dialogano fra loro.
“Un problema che abbiamo incontrato anche una ventina d’anni fa, all’entrata in vigore dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, è che nei corsi di studio italiani, proprio come in tv o nel dibattito pubblico, l’attenzione a ciò che avviene al di fuori di canoni tradizionali o dei nostri confini non sempre viene inclusa tra le priorità dei percorsi educativi o degli appronfondimenti”, concordano Cappato e Perduca. “Occorre quindi investire nell’internazionalizzazione dell’approfondimento di tutte le materie promuovendo quanta più interdisciplinarità possibile. In alcuni ambiti è ormai inevitabile, ma l’aggiornamento costante su cosa accade altrove, anche in ‘nicchie’, può concorrere ad aprire orizzonti culturali. Vanno messe in relazione questioni di diritto con esigenze di ricerca scientifica e no. Col progredire delle carriere c’è la tendenza a iper-specializzarsi sempre più; ora, se da una parte è fondamentale affinare le proprie competenze, dall’altra un’eccessiva settorializzazione rischia di non aiutare nella ricerca di soluzioni a problemi complessi, relativi ad aspetti della nostra quotidianità solo apparentemente slegati tra loro”.
“Una condivisione teorica”, concludono, “dovrebbe anche prevedere del tempo dedicato alla pratica: far entrare un giurista in un laboratorio, o un ricercatore in un’aula di tribunale. Così facendo si potrebbero accrescere quelle conoscenze e consapevolezze necessarie alla ricerca di soluzioni. Chi sa che in Italia non si può fare ricerca sulle cellule staminali degli embrioni non destinati all’impianto per la procreazione se si tratta di blastocisti ‘made in Italy’? Quanti hanno le informazioni necessarie per confrontare le campagne che ‘mostrificano’ gli OGM o attaccano, anche fisicamente, centri di ricerca che ricorrono a sperimentazioni su animali, perché accusati di crudeli vivisezioni, o che ritengono le ultime tecniche di editing del genoma solo un altro modo di modificare organismi geneticamente piuttosto che una possibilità radicalmente nuova? Chi sa sulla base di quali risultati si potrebbero importare ricerche e trial clinici su piante proibite, come la cannabis, o sostanze note per influire sugli stati di coscienza come gli psichedelici per la cura di decine di condizioni fisiche? Alcune di queste risposte non si trovano nei libri di testo ma nel monitoraggio costante del lavoro di istituti di ricerca pubblici o privati, o di pionieri che altrove stanno spostando i confini della scienza e della conoscenza”.
Marco Cappato, laureato in Economia, è tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. È stato Deputato al Parlamento Europeo per il Partito Radicale, nonché consigliere presso il Comune di Milano e Presidente dei Radicali Italiani. Dal 2007 cura l’edizione domenicale della rassegna “Stampa e regime” su Radio Radicale. Nel 2017 è stato ospite del Collegio Ghislieri nell’ambito del dibattito Sulla libertà di vivere e morire. I limiti della legge e il ruolo della società civile, assieme ai proff. Adelmo Manna, Michele De Luca e Luca Vanzago. Fra i suoi libri segnaliamo Credere disobbedire combattere. Come liberarci dalle proibizioni per migliorare la nostra vita (Rizzoli, 2018).
Marco Perduca, laureato in Letteratura Nordamericana, è stato Senatore per il Partito Radicale. Dal 1996 al 2016 ha rappresentato il Partito Radicale nelle sedi ONU di New York, Vienna e Ginevra. È fra i fondatori di Science for Democracy. Fra i suoi libri segnaliamo Proibisco ergo sum. Dall’embrione al digitale, divieti e proibizioni made in Italy (Fandango, 2018).