
Uno racconta di un avvocato spaccone che difende i suoi parenti da un’accusa di omicidio. L’altro è la storia di una scrittrice citata in giudizio per diffamazione da un negazionista della Shoah. Gli ultimi due seguono gli studi in Legge di una ragazza degli anni Duemila e di un ragazzo degli anni Settanta. Sono i film attorno a cui si dipanano gli appuntamenti del Cineforum diritto e giustizia, a cura del nostro Alunno Stefano Maffei, ghisleriano dal 1994, avvocato, Ricercatore e docente all’Università di Parma ed esperto di giustizia americana.
Il primo appuntamento si è tenuto il 17 ottobre con My cousin Vinny di Jonathan Lynn (1992); si prosegue lunedì 28 novembre con Denial di Mick Jackson (2016) per concludere lunedì 16 gennaio 2023 con una selezione di clip da Legally Blonde (Robert Luketic, 2001) e The Paper Chase (James Bridges, 1973). Tutti i film vengono proiettati in inglese sottotitolato in Aula Goldoniana alle ore 21; gli eventi sono gratuiti e aperti al pubblico, oltre a fornire crediti per la formazione alle professioni legali.
“Dirigo una scuola che si chiama EFLIT (English for Law and International Transactions) che è la più grande scuola di inglese legale che ci sia in Italia”, racconta il prof. Maffei a Ghislieri.it. “Offriamo corsi di inglese legale e organizziamo viaggi in America e nel Regno Unito per avvocati e studenti di Giurisprudenza, al fine di esporli ai sistemi giuridici anglofoni. I cineforum sono da sempre una delle attività che svolgiamo, ormai da una decina d’anni, sia perché consente di tenere in forma l’inglese, sia perché molte persone vogliono conciliare il proprio interesse per il diritto con la formazione linguistica. La EFLIT è nata all’Università di Parma ma svolge i propri cineforum dovunque venga richiesto, anche in giro per l’Europa; mi è capitato di organizzare un cineforum focalizzato su OJ Simpson, mostrando delle clip di una docuserie dedicata a questo processo che resta uno dei più emblematici e famosi”.
Quando dai documenti video si passa a storie di fantasia, la verosimiglianza giuridica delle produzioni hollywoodiane comunque non viene meno. “Le scene giuridiche nei film americani sono studiate da consulenti che affiancano produttori e registi al fine di renderle il più possibile corrispondenti a quello che avviene in realtà”, spiega. “Va considerato che il cittadino americano – specie chi vive in una grande città – viene mediamente chiamato a fare il giurato almeno cinque o sei volte nella vita, se non di più. Si tratta dunque di una persona che conosce dall’interno quel sistema giuridico; per questo i film americani non possono presentare al pubblico scene di processi inverosimili. Lo spettatore ne ha fatto parte, lo conosce, è la sua realtà, quindi non potrebbe accettare un film non realistico. Ci possono essere ovviamente dei film che forzano una scena in un senso o nell’altro, ma la struttura complessiva resta fedele alla realtà. Per non parlare di serie come Law and Order, che si basa su casi reali e presenta quindi anche contenuti veri, per quanto con nomi mutati”.
Il suo interesse per i sistemi giuridici anglofoni è nato già durante gli anni in Ghislieri, racconta: “Tramite la borsa di studio del Collegio ho svolto il dottorato a Oxford; durante il dottorato ho trascorso un anno in mobilità alla Harvard Law School di Cambridge, Massachusetts. Dopo di che, con una borsa Fulbright, sono andato alla Temple Law School di Philadelphia, cosa che mi ha portato a creare un programma di viaggi studio che, dal 2012, mi consente di portare ogni anno circa una cinquantina fra magistrati, avvocati e studenti a vedere i processi dal vivo nella città più importante per il diritto in America, la città della Costituzione”.
C’è un motivo per cui la narrazione americana dei processi prevale nell’immaginario rispetto a quella europea o italiana? “Un prodotto italiano che meriterebbe di essere guardato per illustrare all’estero il nostro sistema giuridico potrebbe essere il film Netflix su Yara Gambirasio”, replica. “Nel procedimento l’Italia ha svolto un’indagine di ricerca sul DNA molto innovativa, che quindi ha consentito una resa cinematografica efficace. Tuttavia il processo con giuria – da sempre esportato da Hollywood, con la sua incredibile forza espansiva – ha maggiore fortuna narrativa e fa sì che mezzo mondo abbia in mente quel modello di dibattimento, con ‘obiezione vostro onore’ e le altre formule di rito che non esistono nei processi di tutto il resto del mondo. Allo stesso modo Anatomy of a Scandal, serie britannica sul processo a un parlamentare accusato di stupro, è molto indicativa di là dal colpo di scena che fuori dalla fiction comporterebbe una violazione deontologica che non può mai verificarsi. Ma addirittura le scene del processo sono state filmate all’Old Bailey, lo storico e famosissimo tribunale, per rendere ancora più realistica la narrazione”.
Ma se deve indicare – oltre a quelli presenti nel cineforum ghisleriano – un titolo irrinunciabile per capire il funzionamento della giustizia americana, il prof. Maffei non ha dubbi nello scegliere 12 angry men di Sidney Lumet (1957): “Si tratta di un film straordinario perché parla di come la giuria trova l’accordo nell’aula della deliberazione. È un film che racconta la psicologia delle persone che devono decidere; i giurati sembrano inizialmente orientati verso una decisione ma poi, attraverso il dialogo il confronto, arriva a una soluzione opposta. È girato interamente nell’aula della deliberazione e la rabbia cui fa riferimento il titolo originale indica l’irritazione dei giurati che preferirebbero decidere frettolosamente e tornare a casa. È un film imprescindibile per un giurista”.