In occasione del Giorno della Memoria 2021, il Collegio Ghislieri ricorda Achille Lino Jona.
Nato nel 1918, figlio di un commerciante di tessuti astigiano, Jona frequentò il liceo classico di Asti e, dopo il diploma, diventa Alunno del Collegio Ghislieri nel 1937, iscrivendosi alla facoltà di Fisica e beneficiando del lascito di Cesare Artom per una borsa di studio. Il trasferimento a Pavia lo condusse anche nell’orbita del Circolo ebraico-sionista di Milano, per tramite di Gina Segre Jarach; al circolo milanese Jona dovette buona parte della sua formazione intellettuale e religiosa. A causa delle leggi razziali, Jona venne privato sia del diritto di beneficiare del lascito Artom sia di quello di godere del posto da Alunno in Ghislieri, pur venendogli consentito di proseguire gli studi: nel 1939 si allontanò forzatamente da Pavia e si vide costretto a iscriversi al Politecnico di Torino dove si laureò in Ingegneria nel 1941. Nello stesso anno trovò lavoro a Livorno ma, pochi mesi dopo, venne licenziato per ragioni razziali. Scelse allora di dedicarsi all’attività di aiuto e conforto nei confronti degli ebrei internati nell’Astigiano: nel dicembre 1942 contrasse una tubercolosi fulminante durante una visita al campo di Moncalvo, morendo pochi giorni dopo, a ventiquattro anni.
Alla figura di Jona è dedicata la monografia di Rosaria Odone Ceragioli, Una voce inascoltata. Lino Jona tra sionismo e leggi razziali(Franco Angeli, 2008), presentata da Gianni Perona ed Elisa Signori, in occasione del Giorno della Memoria 2009, presso il Collegio Ghislieri. Si tratta, spiega l’autrice, di una testimonianza della “precoce e acuta percezione della complessiva portata della legislazione antiebraica” da parte di Jona, il quale cercò di trasmetterla ai suoi correligionari; una storia “emblematica dei livelli di consapevolezza molto diseguali con cui la comunità ebraica piemontese subì e leggi razziali e del clima di generale indifferenza in cui esse furono accolte dalla società italiana”.
Un vivido ritratto degli anni di Jona in Collegio emerge dalle pagine dedicategli, sull’Annuario 1952-1953-1954 dell’Associazione Alunni del Collegio Ghislieri, dal suo compagno di studi Franco Bolzern, nel frattempo divenuto docente di Elettrotecnica. “L’allontanamento dal Collegio per motivi puramente razziali è un fatto assolutamente inusitato negli annali del Ghislieri”, scrive, spiegando che l’allora Rettore Pietro Ciapessoni “fu costretto, quando l’ondata balorda del razzismo nostrano dilagò infaustamente entro l’ambito stesso sacro delle scuole, pur dopo aver esperito tutto quanto era in facoltà del Rettorato di fare per scongiurare l’odiosa decisione. Il provvedimento colpiva il solo alunno israelita che in quel momento – alle soglie del 1939 – contasse il Ghislieri”.
Bolzern ricorda che “fu per Jona l’avvenimento forse più amaramente doloroso, nel susseguirsi d’amarezze e di dolori che nel volgere di pochi mesi spietatamente si abbatterono su di lui e sulla sua famiglia, una modesta, laboriosa famiglia. Era un’amarezza fatta di delusione soprattutto, nata dalla caduta improvvisa di ideali nei quali Jona credeva con più freschezza, con più generosa fede di quanto non avvenisse per la maggior parte di noi, dei suoi compagni, che ci trovavamo ad indulgere con una sorta di affettuoso compatimento a certi suoi ingenui, caldi, talvolta intemperanti entusiasmi”. Lo Jona che traspare dalle righe di Bolzern è un giovane “che sentiva i legami dell’amicizia con così inconsueta intensità da immedesimarsi nelle gioie o nelle preoccupazioni degli amici vivendole più che le sue proprie; che coltivava, appoggiandola con appassionato fervore, ogni azione di concordia, di comprensione, tra la sua gente e noi; che avevamo visto una volta sottoporsi all’insaputa dei suoi ad un intervento chirurgico non urgente, non necessario, pur di poter essere dichiarato abile senza riserve al servizio militare, e ciò soltanto per coerenza con il suo patriottico entusiasmo”.
Il sopruso subito da Jona durante i suoi anni pavesi è altresì un sopruso subito dallo stesso Collegio che, nonostante le insistenze e gli sforzi del Rettore Ciapessoni di fronte al regime, dovette vedere non solo i propri valori traditi a causa di un’ingerenza ministeriale, ma anche il proprio regolamento interno piegato e di fatto trasgredito da un’imposizione puntigliosa e ottusa.
Riferisce Elena Serina nel volume collettaneo illustrato In questa perennità di giovani. Il Collegio Ghislieri durante il rettorato di Pietro Ciapessoni (Fargo Studio, 2019): “Superati brillantemente i primi due anni, dato che ‘l’alunno Jona Achille […] risultava pienamente ottemperante a tutti gli obblighi stabiliti dalle vigenti normative per la conferma annuale’, il Rettorato propose la sua conferma per l’anno accademico 1938-’39. Alla luce delle leggi razziali da poco emanate, tuttavia, il Consiglio di Amministrazione dovete sottoporre il caso al Ministero dell’Educazione Nazionale. In base alle circolari del 6 agosto 1938, rettificata dal Gran Consiglio il 6 ottobre, e dell’11 febbraio 1939, infatti, gli studenti ‘di razza ebraica’ già in corso e in regola con gli esami potevano concludere i loro studi, ma non usufruire di borse di studio o altri sussidi”. Si verificava così un conflitto: per le norme del Collegio Ghislieri, da sempre valide per ogni Alunno senza differenze, Jona aveva ogni diritto a conservare il posto e la borsa di studio; per le disposizioni ministeriali, invece, Jona non avrebbe più potuto godere né del posto in Collegio né della borsa, venendo di fatto retrocesso al rango di semplice studente senza finanziamenti né benefici che ne valorizzassero l’indubbio merito.
Fu per questo che Pietro Ciapessoni, con un documento ufficiale del Rettorato, tentò di persuadere il Ministero, da un lato richiamandolo al rispetto delle regole – “l’Alunno Jona”, argomenta Ciapessoni, “era per legge autorizzato, benché di razza ebraica, a proseguire gli studi superiori” – dall’altro cercando di ridurlo a più miti consigli, dichiarando che all’eventuale espulsione di Jona si sarebbe rifiutato di sostituirlo in corso di anno accademico con alcun “eventuale aspirante di razza non ebraica”. Di là dalla difesa dei valori ghisleriani di merito ed eguaglianza, a Ciapessoni era ben chiaro che il godimento del posto gratuito in Collegio fosse di grande aiuto per Jona, le cui casse familiari avevano risentito drammaticamente delle leggi razziali. Il primo novembre 1938 Jona stesso aveva comunicato a Ciapessoni: “Forse non sarà inutile che io Le faccia presente che la situazione della mia famiglia, dopo i decreti del 7 ottobre, è precipitata ancora e definitivamente, giacché non rientriamo in nessuna delle categorie di famiglie ebraiche, delle quali si afferma la ‘non discriminazione’, cosicché io, di cinque fratelli, potrei essere l’unico ancora sistemato”.
L’impegno di Ciapessoni consentì purtroppo di guadagnare soltanto pochi giorni. Il 10 marzo 1939, infatti, il Ministero dell’Educazione Nazionale rispose a Ciapessoni che “il nome dello studente Jona non figura tra i nomi degli alunni che con detto decreto sono stati confermati nei posti di studio già loro conferiti. Pertanto detto studente, pur non essendone stata dichiarata formalmente la decadenza, non potrà più far parte degli alunni di codesto Collegio”. Di fronte al rifiuto perentorio del Ministero, continua Elena Serina, “non essendo quindi possibile alcun compromesso, il Rettorato dovette, ‘forniti i richiesti chiarimenti […] limitarsi a eseguire l’ordine del Ministero. Con una raccomandata postale, il 29 marzo Ciapessoni informò Jona del decreto di revoca del beneficio del lascito Artom e del conseguente decadimento del suo posto in Ghislieri. Il tono formale della comunicazione non lascia dubbi sul disappunto del Rettore”.
Tuttavia, conclude, “anche dopo aver lasciato il Ghislieri, Jona mantenne regolari contatti con alcuni compagni e con il Rettore Ciapessoni. Con quest’ultimo, in particolare, avviò una fitta corrispondenza a partire dai primi mesi dopo la dipartita da Pavia, quando Ciapessoni lo ricevette nel suo studio e, pur ribadendo che il Collegio ‘non era al di sopra della legge’, gli garantì la sua vicinanza e il suo supporto”.
Confermano la saldezza d’animo di Achille Lino Jona le parole di Bolzern sul “fuoco di entusiasmo” talmente bruciante nel suo animo “che non valsero a spegnerlo gli ideali caduti, né le speranze deluse, né lo spettacolo delle infinite, meschine, sordide iniquità bruscamente scoperte d’intorno”. Le rivolse sempre più all’indagine delle proprie radici, nei cui confronti accrebbe un affetto e una conoscenza fuori dal comune: “Riversò prodigalmente ogni energia in opere di solidarietà fraterna verso la sua gente perseguitata, esaltò in sé, come dovere di reazione, un orgoglio per la stirpe e le tradizioni che – almeno in forma così viva – non aveva nutrito prima; volle approfondire lo studio dell’ebraico; volle reinfiammate nel suo spirito e intorno a sé le aspirazioni millenarie del popolo d’Israele; si improvvisò assistente, consigliere, maestro dei suoi più giovani fratelli di fede che aiutò generosamente, spesso rischiosamente, in quanto tentavano di difendersi dalle odiosità, per prepararsi un avvenire migliore: fu propagandista di fede, banditore, apostolo”.