“Merito e meritocrazia sono due cose diverse”, ha spiegato Roger Abravanel concludendo col proprio intervento i dieci incontri del Festival del Merito del Collegio Ghislieri. “Il merito è una specie di minimo sindacale: uno pensa di meritarsi qualcosa prendendo una laurea decente in un’università non troppo lontana, ambisce a un posto fisso, magari nella pubblica amministrazione, e se non l’ottiene crede che accada perché non c’è meritocrazia. La meritocrazia è invece ambizione, ricerca dell’eccellenza, ricerca della competizione”. Il video integrale dell’evento è disponibile online sul canale YouTube del Collegio.
Abravanel è intervenuto a margine della pubblicazione del proprio nuovo libro, Aristocrazia 2.0. Una nuova élite per salvare l’Italia (Solferino, 2020). “Ho scritto questo saggio per due ragioni”, ha dichiarato. “La prima è che mi sono reso conto che in Italia non si capisce bene cosa voglia dire ‘meritocrazia’; la seconda è che nessuno si rende conto dell’importanza della meritocrazia per lo sviluppo economico e per l’economia della conoscenza. La meritocrazia è nata nel 1933 a Harvard, quando l’allora rettore dell’università decise di averne abbastanza dei rampolli dei ricchi e introdusse un test obiettivo e delle borse di studio che consentivano di andare a Harvard anche a chi non poteva permetterselo, aprendo anche alle donne e alla media borghesia. Mentre ciò accadeva, cambiava l’economia: passando da un’economia manufatturiera, industriale e fordista a un’economia post-industriale, servizi, telecomunicazioni, banche, e poi successivamente l’economia della conoscenza, caratterizzata dalla tecnologia”.
“L’ineguaglianza non è colpa della meritocrazia ma dell’economia”, ha argomentato. “I figli delle classi privilegiate vengono preparati meglio di altri all’accesso alle migliori università e in questo modo si è creata una nuova specie di aristocrazia. Nel mio saggio sostengo che sicuramente costoro ricevono un vantaggio rispetto all’ingresso nelle grandi università, quindi non ci sono effettive pari opportunità; ma anche che ci dimentichiamo sovente di come nel mondo anglosassone ci siano soprattutto le buone opportunità, dovute allo sforzo di emulare quell’1% che ha successo, tentativo che migliora il livello dei giovani americani, europei e asiatici. Costoro sono spinti a cercare la migliore istruzione, quindi a migliorare sé stessi e a fornire un capitale umano di maggior valore al Paese durante epoche di trasformazione economica”.
Director Emeritus di McKinsey e Presidente di Insead Council Italia, Roger Abravanel è altresì Presidente onorario del Forum della Meritocrazia. Il Rettore Vicario del Collegio Ghislieri, dott. Alessandro Maranesi, ha raccontato come l’eccellenza sia stata la bussola dell’intera carriera di Abravanel, sin da quando – nel 1968 – divenne il più giovane ingegnere d’Italia, destinato poi a essere fra i primi, insieme a Francesco Giavazzi e a Yoram Gutgeld, a portare dalle colonne del Corriere della Sera i termini “merito” e “meritocrazia” al grande pubblico.
Il ruolo della formazione è pertanto un punto chiave della prospettiva di Abravanel. “Con l’economia della conoscenza c’è stata un’esplosione del ruolo dell’Università e della competizione per il ruolo del sapere”, dice. “Le università italiane tuttavia si sono letteralmente chiamate fuori da questa competizione, tanto più che la migliore secondo le classifiche internazionali si colloca attorno al centocinquantesimo posto. Nel mio saggio ho fatto un paragone fra la mia università, il Politecnico di Milano, la migliore università europea, il Politecnico di Zurigo, numero 6 al mondo, e l’Imperial College di Londra. Ne emerge non solo che i fondi delle università straniere sono decisamente superiori, ma che la vera differenza è questa: a Zurigo lo Stato finanzia l’eccellenza, giudicando il merito di questi docenti in base al livello della ricerca. In questo modo il Politecnico di Zurigo ha prodotto ventisette premi Nobel, mentre il Politecnico di Milano soltanto uno. L’Imperial College invece trae vantaggio dall’essere finanziato tramite le rette ma soprattutto mettendo sul mercato i risultati del proprio lavoro e vendendo la propria ricerca”.
“All’estero il modello di università d’eccellenza che sta emergendo è il modello di mercato”, conclude. “La stessa Berkeley è finanziata al 70% da rette e finanziatori privati. Anche Oxford e Cambridge sono finanziate solo al 30% dallo Stato. Le classifiche internazionali sono importanti – pur essedo magari opinabili – perché hanno un valore relativo alla competizione, tale che gli studenti migliori vogliono entrare nelle università più competitive, i finanziatori della ricerca guardano alle sedi dei migliori docenti. Il modello di finanziamento e di mercato si presta alla competizione, fondamentale se si vuole un’università di eccellenza e non un’università di massa”.
Sul canale YouTube del Collegio Ghislieri sono disponibili tutti i video dei precedenti interventi del festival Questioni sul merito, a opera di Oscar Farinetti, Fabio Longo, Maurizio Ferrera, Mario De Caro, Vittorio Pelligra, Alberto Jannuzzelli, Maria Cristina Origlia, Ferruccio de Bortoli e il Ministro Elena Bonetti.