“In giro per Pavia, a un certo punto Abraham Yehoshua mi afferrò un braccio e mi ha detto: ‘Che bella città, cammini per strada e sei sicuro che nessuno ti farà esplodere’. Una frase ironica e molto vera – penso che a nessuno di noi sia mai venuto in mente di poter esplodere camminando per Pavia – che rivendicava il suo stupore per le cose europee”, racconta a Ghislieri.it Matteo Corradini, scrittore ed esperto di ebraismo, in un colloquio per ricordare lo straordinario intervento dello scrittore israeliano al Collegio Ghislieri, in un’Aula Magna riempita in ogni punto da spettatori a centinaia, chi seduto, chi in piedi, chi accovacciato sul pavimento.
Era sabato primo marzo 2008. Abraham Yehoshua – morto a Tel Aviv un mese fa – aveva scelto solo Pavia come unica altra tappa del minitour italiano che lo avrebbe portato a Milano, ospite di una grande libreria e poi di Che tempo che fa. “L’idea era nata dall’ascesa a vicedirettore commerciale Einaudi di una nostra conoscenza”, spiega Andrea Grisi, titolare della libreria Il Delfino (ora associata al marchio Ubik) che organizzò l’evento, “ma anche dal desiderio di mettere alla prova, insieme alla grande città e alle grandi librerie, anche una piccola città e una libreria indipendente, che si era contraddistinta per sensibilità, modus operandi, e identità. Yehoshua era un autore di riferimento per la nostra comunità di lettori, anche con libri che erano stati tradotti in Italiano prima ancora che la libreria venisse fondata”.
Aggiunge Corradini: “Credo che l’incontro a Milano fosse andato bene ma – a quanto ne so – aveva davanti poche decine di persone; a Pavia si parlava di sei o settecento persone nell’Aula Magna del Ghislieri. Per noi è stato un onore. Ai tempi dell’università, come esercizio, avevo tradotto dall’ebraico Il Signor Mani: un libro complesso, in cui Yehoshua utilizza stili differenti, riproducendo modalità di uso dell’ebraico risalenti a tempi diversi. Un ebraico moderno e sciolto si alterna a un ebraico antico e formale, in modi tanto diversi e originali molto difficili da rendere in italiano. Nel 2008 mi occupavo già di Shoah e di cultura ebraica, e facevo divulgazione dall’inizio del decennio; era da poco uscito il mio libro Salani sull’alfabeto ebraico, con Grazia Nidasio; non avevo ancora scritto i romanzi per Rizzoli, e la mia carriera era più quella del traduttore rispetto a quella che si è sviluppata successivamente, da scrittore”.
“Quando è arrivato”, prosegue, “mi ha colpito da subito la sua naturalezza. Lui, autore internazionale molto conosciuto, si è rivelato molto confidenziale. Per certi versi giocava anche un po’ in casa perché certi autori israeliani – lui, ma anche David Grossman o Uri Orlev – hanno incontrato grande fortuna in Italia, forse più che in altri paesi europei. Con la letteratura israeliana la nostra nazione ha avuto nel tempo un rapporto bello, molto forte, anche a livello di vendite”.
Riprende Grisi: “È stata una di quelle giornate indimenticabili. Siamo andati a prenderlo a Milano con un’improbabile macchina a sette posti, praticamente disposti su due piani (sembrava il van di Scooby-Doo). Oltre all’addetto stampa Einaudi c’era anche la moglie di Yehoshua, una donna fuori dal comune, una delle più rinomate psicoanaliste italiane. Proprio quel giorno Israele attaccò i territori palestinesi. Allora lui, Oz e Grossman fecero una telefonata in viva voce mentre eravamo in macchina per decidere la linea da tenere nei loro articoli che sarebbero usciti il giorno dopo su Haaretz. Da un lembo meridionale della Lombardia ci sentimmo improvvisamente scagliati dentro la storia”.
“Erano molto preoccupati dalla questione dei territori occupati”, spiega Corradini. “Yehoshua e i suoi amici scrittori si prodigavano per creare un minimo di lucidità in una situazione che è ben poco lucida non solo dalla nostra prospettiva europea ma anche ormai per gli israeliani stessi. Gli israeliani hanno fatto l’abitudine a questo clima di tensione e molti miei amici mi raccontano con naturalezza situazioni che metterebbero angoscia. Il fatto, ad esempio, che in ogni casa ci sia una porta anti-sfondamento che serve come rifugio se esplodessero i vetri; o che, per legge, i portoni dei condomini, devono restare aperti per consentire di rifugiarsi nel primo vano che si trova in caso di attacco aereo. Ciò che a noi sembra normale, allo stesso modo, per un israeliano non lo è”.
“Ci fermammo alla Certosa, che venne aperta apposta per noi. Con questa piccolissima macchina fotografica Yehoshua riprendeva ogni cosa, scattava foto di gruppo con noi, in un’atmosfera completamente familiare”, continua Grisi, e Corradini aggiunge: “Da subito ho notato la sua grande curiosità: alla Certosa di Pavia osservava i dettagli, ammirava la stratificazione delle epoche, poneva domande sulla storia e sull’arte, non cessava mai di stupirsi di ciò che aveva di fronte. Ciò mi ha fatto molto piacere perché la celebrità dà alla testa, e persone molto meno celebri di lui si comportano in modo molto più spocchioso e distaccato”.
Il programma prevedeva una conferenza preserale nell’Aula Magna del Ghislieri, con il suo nuovo romanzo Fuoco amico presentato da Corradini, dopo una sessione di firmacopie in libreria. “Quando arrivammo a Pavia era primo pomeriggio e speravamo ci fosse un po’ di pubblico”, racconta ancora Grisi. “Scoprimmo che piazza Vittoria, dove avevamo all’epoca la nostra sede, era completamente gremita di persone. Come un’immagine biblica, la folla iniziò ad aprirsi per consentire di far passare Yehoshua e farlo faticosamente entrare dalla porticina d’ingresso. Salì al piano di sopra e lì rimase per più di due ore a firmare copie, a farsi fotografare, a parlare con il suo pubblico”. “I lettori di Pavia – quel giorno erano un’infinità – sono stati particolarmente calorosi con Yehoshua”, aggiunge Corradini. “Centinaia di persone pazienti, che hanno aspettato il proprio turno per il firmacopie stando in fila per più di un’ora. Lui, non capendo l’italiano, non riusciva a scrivere le dediche quindi ha chiesto a me di farlo, prima di autografarli uno a uno”.
“Di lì ci spostammo in Ghislieri”, riprende Grisi. “Fu un’altra passeggiata molto intensa, in un pomeriggio bellissimo. Ci diceva: ‘Non sapete che fortuna avete a poter girare senza preoccupazioni, guardando il cielo e la storia stratificata nei vostri monumenti’. Parlava con una levità priva di ogni moralismo, con un’umanità che derivava dalla sua esperienza diversa e non dal voler atteggiarsi a maestro. L’Aula Magna traboccava di persone. Penso sia stato l’incontro con uno scrittore con il maggior numero di spettatori che si sia mai tenuto in città; senza nulla di divistico, ma una vera manifestazione di affetto collettivo a un autore molto amato”.
Ospite da Fabio Fazio, Yehoshua volle parlare della trasferta del giorno prima, con un riferimento a “Pavia città di lettori” che divenne il claim delle successive stagioni letterarie organizzate in collaborazione fra la Libreria Il Delfino e il Collegio Ghsilieri, con ospiti internazionali del calibro di Richard Mason e Delphine De Vigan.
“Yehoshua si è preso la responsabilità di fare lo scrittore”, conclude Corradini. “Non è cosa banale. Per questo mi è sempre piaciuto, anche quando ha scritto opere che magari erano meno belle di altre: ha sempre proposto la propria scrittura nella maniera più originale possibile”. E Grisi: “Fuoco amico non è il suo miglior libro, per quanto decisamente bello e sicuramente non un libro minore. Fare classifiche è sempre molto difficile, ma ho una passione infinita per Il signor Mani e per Divorzio tardivo, anche se il suo libro più famoso – anche per la versione cinematografica fi Faenza – è L’amante, ma va letto anche Viaggio alla fine del millennio, la storia di questi marinai e commercianti ebrei che nel 999 risalgono il golfo di Biscaglia per percorrere la Senna ed entrare a Parigi. La sua produzione è stata tutta di livello molto, molto alto, con un marchio stilistico e narrativo evidentemente suo anche in libri che sono tutti differenti l’uno dall’altro”.