Il mio Collegio – Colloquio con Marco Vitale

Con “Il mio Collegio”, Ghislieri.it incontra Alunni di varie generazioni per una lunga chiacchierata sospesa fra memoria e attualità, lasciando l’intero spazio alle loro dichiarazioni. Il primo appuntamento è con Marco Vitale, ghisleriano dal 1955 e Premio Ghislieri 2014, uno dei maggiori protagonisti italiani nel mondo della cultura d’impresa: Ghislieri.it lo ha incontrato in occasione dell’uscita di due suoi nuovi libri dal sapore autobiografico, La rocciosa Brescia e le mie altre città e Città di Brescia, culla d’intrapresa (editi entrambi da Serra Tarantola).

Marco Vitale

Nei nostri anni il Ghislieri era, dopo la Normale, una cosa unica. Adesso l’offerta è aumentata, ma senza che sia garantito altrettanto il peso della storia, che è importantissimo e non si inventa. Una volta sono andato a fare lezione alla Columbia University e sono rimasto profondamente toccato vedendo tutti i segni profondi della storia americana. È un po’ la sensazione che ho qui, quando ritorno in Ghislieri. Ma la storia, quando è documentata e ancora viva, deve adattarsi e aggiornarsi. Anche l’apertura del Collegio verso l’esterno, con l’invito alla cittadinanza a entrare e a partecipare, è molto interessante per lanciare o rilanciare il ruolo del Ghislieri, avviando un dialogo con la società.

Ho scelto di studiare a Pavia per il Ghislieri. Me l’ha fatto conoscere il mio professore di filosofia, un grande insegnante che mi ha insegnato l’amore per la sua materia: il professor MarioCassa. Fu lui a dirmi che avevo i numeri per partecipare al concorso, quando non sapevo ancora cosa fosse il Ghislieri. Fui ammesso per il rotto della cuffia, grazie a una borsa di studio speciale per i bresciani, finanziata dal Comune e dedicata a Zanardelli – nato fra l’altro a pochi metri da casa mia. Ho accettato il posto con grande gioia, presentandomi qui con aspettative importanti. La mia famiglia era benestante, mio padre era uno dei più importanti commercialisti di Brescia. Ciò che percepii dall’ottenere un posto gratuito in Collegio era il senso del diventare autonomo a diciott’anni: questo è il valore della gratuità. Dare un riconoscimento ai giovani che avevano dimostrato vocazione allo studio, alla formazione, all’impegno. Questa è la grande forza che ha premesso la durata di quattrocentocinquant’anni al Ghislieri. Infatti da allora non ho più chiesto niente ai miei genitori.

L’ingresso in Collegio ha segnato la fine della giovinezza spensierata e poco responsabile: sono rimasto giovane, pieno di voglia di fare, ma con in più il senso della responsabilità. Arrivai a Pavia con quest’idea di impegno (e di comodità) nello studio, sapendo che iniziavo a costruire la mia vita. L’aspettativa, già alta, fu superata dalla realtà. Non pensavo di trovare un luogo così profondo e formativo come l’ho trovato in Collegio. Oltre alla storia e allo stimolo che ti dà – l’idea che da qui sono passate tante persone così importanti da farti sforzare di provare a essere alla loro altezza – individuo un altro aspetto fondamentale la mancata separazione per filoni di studio.

Praticavamo l’autoformazione. Tutti noi interessati a temi socioeconomici eravamo iscritti a giurisprudenza, perché non c’era una facoltà specifica. Al tavolo, il nostro gruppetto era formato da studenti che avevano scarso interesse per la giurisprudenza in quanto tale, pur avendo coscienza del grande valore del diritto e riconoscendo la presenza di grandissimi professori, come Bruno Leoni; eravamo più portati alla filosofia del diritto, alla sociologia del diritto, all’economia del diritto. Ci rendemmo conto che seguire i corsi di giurisprudenza era una cosa ottima ma che i nostri interessi si collocavano al di fuori dalla semplice successione di esami nella facoltà. Quindi facemmo un nostro gruppo di studio, che incominciò a leggere tutti i grandi classici di economia: io li ho letti in Collegio, e nessuno mi ha detto di leggerli. Gli alunni avanti di un paio d’anni ci guidavano alla lettura dei grandi classici dell’economia e della sociologia. Questo processo di autoformazione è fondamentale, come diceva Romano Guardini; lo ripeto sempre ai più giovani.

Al nostro tavolo non eravamo divisi per “arti e mestieri”. Oltre a noi giuristi-economisti c’erano medici, fisici, e così via. Frequentandoli per quattro anni ho imparato tantissimo e ho sviluppato un grande interesse verso le loro discipline, che è rimasto accanto alla mia amicizia per loro. Ci spiegavamo a vicenda le cose che stavamo studiando. Il Ghislieri è un ambiente in cui ho trovato molta interdisciplinarietà, che ho poi ritrovato nel lavoro. Mi sono sempre interessato all’impresa che, per sua natura, è un soggetto interdisciplinare. Se non si è interessati all’aspetto interdisciplinare dell’impresa, l’impresa va sicuramente male. Per questo è un ambiente che chiama all’interdisciplinarietà anziché alla specializzazione delle competenze, e l’arricchimento che ho coltivato in Collegio l’ho mantenuto nella vita lavorativa, evitando un atteggiamento di chiusura.

Molti di noi confluirono nel gruppo dei Federalisti. Quando venni in Ghislieri avevo già avuto un’esperienza significativa sul piano del meccanismo di pensiero dell’Unione Europea: in terza liceo avevo partecipato a un concorso per la giornata europea della scuola, lanciata proprio in quegli anni dalla CECA. Iniziai a studiare le radici culturali e storiche dell’unificazione europea, trascorrendo interi pomeriggi nella bellissima biblioteca di Brescia a leggere Chabod e altri grandi storici. Il mio tema vinse il primo tema in Italia e il sindaco Boni mi comunicò che il premio consisteva in un viaggio di valore formativo. Io non ero mai uscito da Brescia; non ero mai stato a Roma, e solo una volta a Milano. Noi sei vincitori, uno per i primi paesi della comunità europea, partimmo dal Lussemburgo e toccammo l’Olanda, venimmo giù verso la Germania – visitando miniere e fabbriche – poi tutto il nord Italia. Il viaggio terminò a Parigi: eravamo stati quasi un mese alla scoperta dell’Europa. Una volta ritornato, iniziai a sentirmi cittadino europeo oltre che italiano.

Una volta a Pavia avevo già le idee molto chiare sulle dinamiche europee allora in atto. In Collegio formammo subito un nucleo di persone per cui il processo europeo era inquadrato entro il pensiero federalista, che è una cornice non solo europea ma mondiale; leggevamo testi americani e svizzeri per avere presenti i due grandi modelli federalisti. L’anima di questo pensiero a Pavia era il professore Albertini, collegato con Altero Spinelli; ma per noi il referente più importante è stato Giulio Guderzo, che ha attratto molti ghisleriani al tema non solo dell’unione europea ma del federalismo come soluzione politica alle difficoltà di convivere in socioeconomici differenti. Il gruppo non era solo di collegiali, ma il nucleo collegiale era forte. Da questa radice pavese e ghisleriana non è nato solo un impegno teorico e generico: da lì emersero persone che per tutta la vita continuarono a impegnarsi per il federalismo in chiave europea, a cominciare da Gino Majocchi, Antonio Padoa Schioppa e Francesco Rossolillo. Andavamo alla ricerca di un Paese più civile, di una società che sapesse vivere insieme senza scontrarsi.

Aurelio Bernardi è stato un grande Rettore, del quale abbiamo tutti serbato un ricordo ottimo, comprendendo man mano che diventavamo maturi la sua capacità di tenere ordine senza mai diventare oppressivo. La mia stanza era la 72: ogni tanto veniva in Sottomarino, con la sua presenza così garbata; era una persona di grande misura e di grande equilibrio. Un episodio che ricordo con grande amore è che, dopo il suo pensionamento, l’ho invitato a cena da me a Milano. Accettò molto volentieri e facemmo una bella tavolata di vecchi allievi; e si vedeva che era felicissimo di ritrovarci dopo tanti anni. Non eravamo solo studiosi. L’altro grande ricordo che porto dentro di me è il Ticino. Imparammo rapidamente a guidare il barcè; tanta parte delle nostre giornate la passavamo sul fiume, in un contatto con la natura molto bello. Avevamo una squadra di calcio fortissima: io ero un centravanti di sfondamento. Il calcio è stato un momento formativo importante: nulla ti insegna allo stesso modo il valore dell’anticipo e del gioco in team, che valgono nella vita e sul lavoro. In tutte le partite che abbiamo fatto contro il Borromeo, li abbiamo stesi. Al secondo anno abbiamo vinto 3-0: goal di Vitale, Vitale, Vitale.

Compagni d’anno di Marco Vitale sono stati: Sergio Finzi, Diego Lanza, Giuseppe Nava, Franco Pesenti, Mario Vegetti (Lettere e Filosofia); Luigi Majocchi, Francesco Rossolillo (Giurisprudenza); Roberto Chiesa, Ermanno Magrini, Giuseppe Pedeferri, Enrico Solcia (Medicina e Chirurgia); Eugenio Tisselli (Chimica); Carlo Bassani, Giorgio Bendiscioli, Adalberto Piazzoli, Alberto Rimini, Giorgio Spinolo (Fisica); Ugo Bielli, Franco Gasparini, Giuseppe Girardi, Bruno Mazza (Ingegneria).