“Un giorno lo dirò al mondo” di Alessandro Milan – Online il video della presentazione

Verso la fine del 1999 Giancarlo Santalmassi – voce di punta della neonata Radio 24 e già volto storico della Rai, l’uomo che annunciò per primo il rapimento di Aldo Moro – porse ad Alessandro Milan una copia di Repubblica, indicandogli un breve articolo sull’appello di una madre americana per il figlio condannato a morte in Virginia. Da quell’invito a seguire la notizia Milan avrebbe ricavato una storia che sarebbe diventata una grande esclusiva di Radio24, contrappuntando per mesi la programmazione, con interminabili procedure burocratiche per tenere i contatti col braccio della morte, costanti telefonate anche trasmesse in diretta, scabre interviste ai protagonisti del caso giudiziario, spettatori che chiamavano per parlare con il condannato o per insultarlo. Ma per Milan sarebbe stato soprattutto l’inizio di un profondo rapporto umano con un individuo enigmatico, la cui colpevolezza sembrava indimostrabile tanto quanto la sua innocenza, e un lento ma inesorabile cammino verso il momento in cui avrebbe sentito quella voce per l’ultima volta, prima dell’iniezione letale.

Erano i tempi dell’esordio radiofonico di Milan. Quel periodo gli è rimasto così profondamente radicato nella coscienza, prima ancora che nel curriculum professionale, da riemergere con ampiezza di dettagli e trasporto vent’anni dopo, fruttandogli il suo nuovo libro appena uscito presso Mondadori. Un giorno lo dirò al mondo è stato presentato al Collegio Ghislieri di Pavia, in forma virtuale. Sul nostro canale YouTube è disponibile il video integrale del dialogo fra Alessandro Milan e Antonio Gurrado.

Il condannato si chiamava Derek Rocco Barnabei. Era accusato di aver ucciso, nel settembre 1993, la diciassettenne Sarah Wisnosky, il cui corpo era stato restituito dalle acque del fiume Lafayette, nella città di Norfolk, entro un quadro indiziario a dir poco confuso. La narrazione di Milan si colloca su due piani paralleli: da un lato il tentativo di ricostruire cosa è effettivamente avvenuto prima del delitto, e cosa ha portato alla condanna di Barnabei; dall’altro lo sviluppo del rapporto fra lo stesso Barnabei e Milan, due uomini distanti settemila chilometri e svariate ore di fuso orario ma legati dal costante e faticoso sentire periodicamente l’uno la voce dell’altro. Nonostante un processo gravido di punti oscuri e la speranza fino all’ultimo di un rovesciamento delle sorti, Barnabei venne giustiziato (“esecutato”, avrebbe detto Santalmassi, che non amava le parole ipocrite) il 14 settembre 2020.

Anche la critica di Milan alla pena di morte si colloca su più piani. Il primo, e più immediato, è quello per certi versi sentimentale, dovuto al pensiero innaturale che la persona con la quale si sta parlando abbia una data certa di morte, e che tutta l’interazione con lei dovrà collocarsi prima di quella scadenza (la cronaca dei tormenti di Milan quando cerca di fare l’ultima telefonata prima del trasferimento definitivo di Barnabei dal braccio della morte è agghiacciante). Il secondo è il piano giuridico, particolarmente efficace nel caso specifico di un condannato profondamente ambiguo, che non riesce a scagionarsi dall’accusa di un delitto tremendo senza che la sua colpevolezza possa venire dimostrata (Milan mostra l’attrito fra la cultura giuridica del Sud degli Stati Uniti, imperniata sulla rapidità d’azione, e quella europea improntata alla prudenza). Infine c’è il piano umano, per non dire filosofico: quello secondo cui la pena di morte è contestabile in termini assoluti, anche in presenza di prove incontestabili di un delitto efferato,  quelle che nel caso di Bernabei mancavano. Apparentemente inoppugnabile a mente fredda, questo principio viene periodicamente messo in dubbio da alcune fasce di popolazione in presenza di fatti di cronaca di particolare crudezza.

L’Italia non è solo il paese di Cesare Beccaria, come ricorda Alessandro Milan, ma è stata anche una delle primissime nazioni dell’Occidente ad abolire la pena di morte, grazie alla riforma del codice penale del 1899, a opera di un grande ghisleriano, Giuseppe Zanardelli. In Virginia la pena di morte è stata abolita il 22 febbraio 2021; manca solo la firma del governatore, il democratico Ralph Northam.