A fine emergenza, non dimentichiamo la sanità – L’invito di un giovane medico ghisleriano

Un’altra testimonianza dell’impegno di tanti giovani medici ghisleriani in prima fila durante quest’emergenza sanitaria arriva dall’ospedale San Gerardo di Monza, dove il dott. Ludovico Lanfranchi lavora come specializzando in pneumologia.

“In realtà il mio primo contatto con il Covid”, ci spiega il nostro Alunno, “è stato a Cremona, dove a febbraio stavo svolgendo la parte di percorso di specialità che prevede un periodo formativo in ospedali associati alla scuola di medicina dell’Università di Monza e della Brianza. Il 21 febbraio ho ricoverato una trentenne con una polmonite spaventosa, che si sarebbe poi rivelata la prima paziente di Cremona positiva al Coronavirus.” Essendo entrato inconsapevolmente a contatto con un contagiato, il dott. Lanfranchi ha dovuto immediatamente sottoporsi al protocollo di sicurezza. “Le successive due settimane sono un ricordo confuso”, racconta: “Ho iniziato la quarantena, isolato in casa, in attesa della comparsa di qualche sintomo. Così non è stato, per fortuna, e dopo due settimane sono rientrato in ospedale nella mia sede principale, a Monza”.

Da lì è iniziata una corsa contro il tempo. “Il nostro lavoro, da quel momento, è stato completamente stravolto”, racconta il dott. Lanfranchi. “Di consueto il nostro reparto era suddiviso in una sezione di degenza ordinaria e in uno di semintensiva respiratoria, riservato a pazienti più gravi che necessitavano di una ventilazione non intensiva. Nel giro di qualche giorno ci siamo trasformati da semintensiva in rianimazione, per poter far fronte al ricovero di pazienti pluricomplicati con necessità di essere intubati. Durante il periodo di picco massimo dell’emergenza, nel mio ospedale avevamo ricoverati più di cinquecento casi, con quasi cento posti di terapia intensiva occupati; originariamente, ne erano previsti solo trentacinque”.

Come per tutto il personale sanitario, anche per il dott. Lanfranchi il picco della pandemia è stato un periodo di straordinario stress psicofisico. “In alcuni momenti ho pensato che non sarebbe mai finita. Sono stati mesi difficili, in cui abbiamo dovuto adattarci a ritmi di lavoro pressoché insostenibili e in cui noi specializzandi abbiamo dovuto rapidamente imparare a gestire problematiche nuove, a cui nessuno ci aveva ancora preparato”. Più del carico di lavoro, tuttavia, ha pesato il lato umano: “Uno degli aspetti peggiori”, spiega, “è stato uscire dall’ospedale alla fine di ogni turno senza sapere se il giorno successivo avremmo rivisto gli stessi pazienti. E altrettanto difficile era il momento in cui il turno finiva e ognuno di noi medici si fermava per chiamare i parenti dei degenti e fare da tramite con loro: era l’unica forma di comunicazione possibile. Nella quasi totalità dei casi, l’ultimo contatto diretto dei familiari coi loro cari malati è stato averli accompagnati in ospedale, quindi l’ultimo ricordo che conservavano era averli visti sparire dietro la porta del pronto soccorso. Da quel momento noi eravamo l’unico filo tra il malato e la sua famiglia. Ciascuno di noi era consapevole di quanto attesa fosse la nostra telefonata e di come la tranquillità dei familiari dipendesse dalle nostre parole: per questo speravamo sempre di risultare rassicuranti e di poter dare solo belle notizie. Non era sempre così, purtroppo”.

All’alba della cosiddetta fase 2, col picco alle spalle, non bisogna dimenticare che il lavoro degli ospedali non si ferma. “Per fortuna adesso la fase più critica sembra essere passata”, considera il dott. Lanfranchi, “e stiamo timidamente tentando di tornare alla normalità; quello che accadrà nei mesi a venire dipenderà in gran parte dal senso di responsabilità dei singoli e dal senso del dovere delle istituzioni. Noi proseguiremo con il nostro lavoro e continueremo a essere pronti”. Nulla però sarà come prima. “Sono certo che questa pandemia lascerà un segno indelebile su tutti”, conclude, “perché ha rimesso nella giusta ottica le nostre priorità, ci ha dato una grande lezione di umiltà. Per questo spero che l’attenzione che è stata giustamente dedicata alla sanità in questi mesi non svanisca come neve al sole al termine dell’emergenza.”.