Andarsene dall’Italia e scegliere di ritornare – L’esperienza della neuro-oncologa Anna Luisa Di Stefano

Dr Anna Luisa DI STEFANO, Neurologue à : Prenez rendez-vous en ligne

“La decisione di tornare è stata presa in modo del tutto inaspettato. Un po’ per affrontare una nuova sfida professionale, un po’ per esigenze personali: mi faceva piacere l’idea di far crescere i miei figli in Italia, e vicino alle famiglie d’origine. Per il momento, l’esperimento mi sembra riuscito”, racconta a Ghislieri.it Anna Luisa Di Stefano, la nostra Alunna neuro-oncologa che quest’anno ha deciso di ripartire dagli Ospedali Riuniti di Livorno dopo una lunga esperienza di ricerca e di clinica a Parigi.

La sua storia parte proprio in Collegio: ghisleriana dal 2001, quando era iscritta al secondo anno di medicina all’Università di Pavia, nel 2003 ha trascorso un anno di Erasmus in Francia. “Era stato molto impegnativo”, continua, “ma mi aveva molto affascinato l’interesse che i francesi riservano all’insegnamento pratico delle scienze mediche; in Italia è più difficile vedere i pazienti già prima della laurea. Mi trovavo nella condizione di dover scegliere fra neurologia e oncologia: allora l’anno successivo sono tornata fuori dal programma Erasmus, stavolta come medico volontario, per uno stage di neurologia. Lì sono entrata in contatto con il primario della Neurologia 3 della Pitié-Salpêtière, un luogo che è stato sia nicchia di neuroscienze e psichiatria (lì erano ricoverate le famose isteriche di Charcot), sia centro antesignano per la neuro-oncologia in Francia”.

È stato quello il suo primo contatto con la strada che avrebbe intrapreso, la neuro-oncologia. “Nella neuro-oncologia ci si dedica a pazienti che hanno tumori cerebrali”, spiega. “In Italia le casistiche sono soprattutto concentrate a Milano, all’Istituto Besta, dove ho compiuto i primi lavori sperimentali in occasione delle tesi di laurea, nel 2006 e di specializzazione, nel 2010.  Poi sono tornata nello stesso reparto parigino per un anno, per uno stage di ricerca di sei mesi in laboratorio e di sei mesi in reparto. A fine specializzazione mi hanno chiesto di tornare per un posto di tre anni di assistenza clinica: in sostanza, si trattava di lavorare sia in reparto sia in laboratorio facendo anche insegnamento per studenti di medicina. Ho accettato e mi sono trasferita a Parigi in pianta stabile. È stata la palestra dove ho imparato il lavoro, trovandomi in prima linea a confrontarmi con questa patologia molto difficile, che alla tematica oncologica aggiunge il deficit neurologico dovuto alla localizzazione del tumore”.

Il modello che mi ha formato in Francia è stato quello di associare sempre l’attività clinica con quella di ricerca”, aggiunge. “L’obiettivo della ricerca è molto rilevante nel settore neuro-oncologico, poiché dà la forza di andare avanti in un contesto che altrimenti sarebbe desolante. Sono rimasta alla Pitié-Salpêtière fino al 2015; poi, nei sei anni successivi, ho continuato part time nell’attività di ricerca dedicandomi però a coordinare un gruppo nascente di neuro-oncologia in un altro ospedale parigino. A quel punto coprivo l’intero percorso dei pazienti, dalla diagnosi all’operazione alla radioterapia e alle varie fasi di trattamento. Parallelamente però dovevo creare un aggancio per il profilo molecolare, e vedere se si poteva – paziente per paziente – notare alterazioni specifiche da trattare con una terapia personalizzata. Si tratta di medicina di precisione”

Tutto sembrava predisposto per una lunga carriera francese; invece, quest’anno, la decisione di rientrare in Italia, passando da un profilo internazionale a uno nazionale e – soprattutto – dalla grande realtà parigina alla scelta di una realtà circoscritta come Livorno. “Durante gli anni del Covid io e mio marito – che è italiano – abbiamo iniziato a provare un po’ di nostalgia e a chiederci come sarebbe stato se i nostri figli fossero cresciuti in Italia”, racconta ancora. “In quel periodo ho conosciuto il primario di Neurochirurgia di Livorno, che non è un grosso centro come Milano né un IRCSS ma nell’ambito toscano ha come reparto di punta proprio la neurochirurgia, dove c’è tutto ciò che serve per occuparsi in maniera multidisciplinare di questi pazienti. La cosa che però mi ha spinto a muovermi è stato sapere che era possibile una collaborazione di ricerca con il laboratorio della Fondazione Pisana per la Scienza, un istituto privato di ricerca no-profit dove lavoro un paio di giorni a settimana, impegnato fra l’altro nella ricerca sugli organoidi. Asportato il tumore a Livorno, lo trasferiamo a Pisa e lo coltiviamo in vitro per sottoporlo a test molecolari e di trattamento. Ciò può consentire di predire la risposta che avrà il paziente ricoverato a Livorno”.

La storia della dott. Di Stefano, che con coraggio decide di lasciare l’Italia per accumulare esperienza ma poi decide di tornare, forse con più coraggio ancora, è indicativa dell’evoluzione di una generazione di giovani professionisti italiani di alto livello: “Sono sempre stata uno spirito aperto, per non dire europeista. Pur essendo di Palermo, ho subito deciso di fare l’Università a Pavia. Poi ho capito che in quel momento nemmeno la Lombardia poteva offrirmi tutta l’apertura nei confronti del giovane medico da formare di cui sentivo il bisogno; apertura che ho trovato in Francia, unitamente a una profonda dedizione alla missione sociale nei confronti del paziente incurabile. Ciò mi ha condotto a voler tornare lì nel corso del mio lungo percorso formativo e a volermi stabilire a Parigi, prendendo la cittadinanza francese”.

“Le vite, le carriere, hanno una naturale scansione in fasi”, aggiunge. “Nel mio caso, credo vadano di dieci anni in dieci anni. Passati i dieci anni di incameramento, dopo i quaranta mi è parso arrivare il tempo in cui mettere a frutto ciò che avevo imparato, anche per la neuro-oncologia italiana. Vivevo infatti con disagio le richieste di consulenza su pazienti italiani, e pativo il non potermi sentire utile per la mia gente. Poterlo fare, adesso, mi rende contenta, di là dalle inevitabili differenze professionali fra Francia e Italia. Lavorare bene e apportare qualcosa di nuovo alla neuro-oncologia – italiana e non solo – è una bella sfida”.

Quanto a Pavia, conclude, “mi manca tantissimo: fra Ghislieri e Ca’ della Paglia ci ho vissuto dodici anni, prima dei dieci a Parigi. Ora sto conoscendo una realtà italiana che per me è nuova, quella toscana, con colleghi che provengono da validi percorsi formativi differenti dal mio; così ho scoperto che il contesto pavese mi manca, anche se dieci anni fa scalpitavo per partire. A Pavia c’è un alto livello di formazione e offerta universitaria, garantito dal sistema dei Collegi di merito, che creano le condizioni per elevare al massimo la formazione partendo dal basso, dai primissimi giorni di vita universitaria. Il Ghislieri mi ha supportato negli anni del dottorato, con il progetto Progressi in Biologia e Medicina del CRDU; ma anche prima della laurea, con le numerose attività formative e l’intervento di personalità del mondo della cultura che venivano a parlare in Collegio e che gli studenti potevano così conoscere direttamente. Ad esempio ripensavo, proprio in questi giorni in cui se ne è parlato tanto, la conferenza di Piero Angela quando ero studentessa”.