A conclusione del mandato di Andrea Belvedere riproponiamo l’intervento che il Presidente della Fondazione Ghislieri, Gian Arturo Ferrari, ha tenuto nel 2016 in occasione della giornata di studi organizzata in onore del Rettore del Collegio Ghislieri dal Dipartimento di Giurisprudenza nell’Aula Magna dell’Università di Pavia. Si tratta di un racconto che ripercorre l’intera carriera ghisleriana di Belvedere, sin dai tempi in cui era matricola. Il Presidente Ferrari e il Rettore Belvedere sono infatti legati, oltre che dalla collaborazione ai vertici del Ghislieri nel corso degli ultimi anni, dalla circostanza di essere compagni d’anno: entrambi sono entrati in Collegio nell’autunno del 1963.

Credo che Andrea Belvedere sia stato il primo ghisleriano – o per meglio dire futuro ghisleriano – che io abbia conosciuto. In un corridoio dell’istituto di Matematica, vicino all’aula di Geometria dove avevamo dato lo scritto, aspettavamo il nostro turno per l’orale dell’esame di concorso. Attaccammo il discorso, subito amichevole e diretto di chi è affratellato da un imminente pericolo, come soldati che tra poco dovranno uscire dalla trincea. Non avevamo paura, eravamo primi della classe, gli esami erano la nostra specialità. C’era piuttosto una specie di ansia, uno smarrimento di fronte a un luogo ignoto, leggi e regole ignote, un futuro ignoto che ci si apriva all’improvviso davanti.
Sentivamo, forse più che saperlo con chiarezza, che eravamo a una svolta della nostra giovanissima vita, che imboccavamo una strada definitiva, che ci avrebbe formato e cambiato in modo definitivo. Ma certo non immaginavamo che più di mezzo secolo dopo ci saremmo ritrovati a essere l’uno, il sottoscritto, Presidente del consiglio di amministrazione e l’altro, Andrea Belvedere, Rettore e Rettore da trentasette anni del Collegio in cui ci apprestavamo a entrare. Era il mese di ottobre del 1963, un autunno freddo e precocemente nebbioso come quelli di allora, quando le fabbriche e le ciminiere circondavano le città della Lombardia, Pavia inclusa, quando esistevano ancora le osterie e quando le automobili parcheggiate nella piazza del Ghislieri si contavano sulle dita di una mano.
Anche in un’epoca di dichiarato nuovismo e di declamato giovanilismo, quale è la nostra, è difficile chiedere a chi regge – al Rettore in senso proprio – a chi regge un’istituzione che si avvicina al mezzo millennio di vita, di porre solo nel futuro, prossimo o remoto, il senso ultimo del proprio ufficio. O per meglio dire si può porre questo senso nel futuro intendendo così il compito di consegnare al futuro, alle generazioni future, il patrimonio, possibilmente migliorato e accresciuto, che si è ricevuto dal passato, dalle generazioni passate. Alla domanda sull’indirizzo di fondo del proprio Rettorato Andrea Belvedere mi ha risposto in parte con sincera modestia, in parte con calcolato understatement, come è nello stile dell’uomo, dicendo: “Ho molto curato la manutenzione“.
Il riferimento diretto è qui al Collegio come edificio, non entità astratta o peggio ideale, ma oggetto fisico, concreto, la cui dignità è insieme un veicolo educativo e un riconoscimento del merito dei suoi abitanti. Ma accanto alla realtà materiale – costituita da ammodernamenti abitativi, da un continuo lavoro di restauro, da importantissime acquisizioni come la sede della nuova aula magna nella chiesa di San Francesco di Paola, dalla grande impresa del castello di Lardirago, il riportare a nuova vita la sede storica del feudo donato dal fondatore – accanto alla realtà materiale ci sono stati nel Rettorato Belvedere la manutenzione e l’accrescimento dell’edificio culturale del Collegio.
Due iniziative su tutte: la prima, l’istituzione all’interno del Collegio di corsi accreditati dall’università, a partire dal corso di logica inaugurato dal professor Ettore Casari, mio antico maestro, – ahimè borromaico, ma senza dubbio il più eminente tra i logici italiani – e proseguito poi dai suoi allievi. La seconda, la costituzione e la promozione, dopo diversi stadi preparatori e sperimentali, di Ghislierimusica, ossia di un’iniziativa specifica che da un lato si è affermata in breve tempo, nazionalmente e internazionalmente, come di assoluto prestigio nell’ambito della musica barocca, dall’altro ha dato al Ghislieri una nuova dimensione e insieme un modello per nuove intraprese in terreni di alto valore culturale, ma non inclusi nel tradizionale perimetro universitario. La manutenzione, l’alta manutenzione, emblema del Rettorato Belvedere, è purtroppo una parola ignota al lessico politico e culturale italiano, mentre è la forza di sistemi più civili del nostro, ed è motivo di orgoglio per il collegio averle restituito pregnanza e ricchezza di significato.

Non si può tuttavia limitare a questo il significato e la portata del lungo lavoro svolto da Andrea Belvedere a beneficio del Ghislieri. […] Su uno sfondo variamente perturbato, il Rettorato Belvedere ha cercato in primo luogo di non perdere la calma e in secondo di ancorare l’identità del Collegio, certo discussa e discutibile ma non vacillante, a pochi e chiari punti fermi. Innanzitutto il rigore degli studi, nella convinzione che questo sia in definitiva il nocciolo dell’essere ghisleriani. In secondo luogo l’apertura alle, e la sollecitazione delle, iniziative culturali e di studio ideate e promosse dagli Alunni, nella convinzione che il legame non alberghiero con il collegio diventi tanto più tenace quanto più il Collegio diventi a sua volta un cantiere, un’officina, un laboratorio, in breve un luogo attivo. Infine un richiamo costante alla tradizione e insieme un suo continuo, quasi impercettibile, mutamento secondo il principio belvederiano che l’innovazione non è clamorosa, ma al contrario è meglio vederla – accorgersene – quando è già avvenuta, quando si è già compiuta.
Ma qual è in definitiva, oggi, l’identità del Ghislieri? Credo di interpretare il senso ultimo della nostra lunghissima storia e anche, spero, il pensiero del mio primo compagno di Collegio Andrea Belvedere richiamando il nostro motto, le parole che San Pio V scrisse nella bolla di fondazione Copiosus in misericordia Dominus, e che noi ghisleriani abbiamo visto ripetute dovunque, nei luoghi eccelsi e in quelli più umili, all’interno del nostro collegio. “Sapientia cum probitate morum coniuncta humanae mentis perfectio”: dice il nostro motto che il pieno compimento, la perfectio, della mente umana è data dalla congiunzione tra sapere e rettitudine di comportamento.
Se spogliamo la probitas morum dalla sua patina controriformistica e la intendiamo come comportamento sociale adeguato, come capacità di trasformare il sapere in comportamento pratico, credo che ci avviciniamo a quello che è stato il senso dell’essere ghisleriani. Un modo non astratto e non esaltato di guardare al sapere ma una costante attenzione alla coniunctio, al suo inserimento nella vita. E questo è stato anche, a mio avviso, il senso della lunga e feconda opera di Andrea Belvedere.
Gian Arturo Ferrari