
La grandezza degli uomini leggendari è costruita anche grazie ad eventi simbolici che avvengono in loro assenza. Subito dopo la battaglia di Waterloo, i contadini dei terreni circostanti si precipitano sul campo di battaglia a raccattare cimeli abbandonati, chi per rivenderli chi per custodirli. Poco dopo la morte di Napoleone, un visitatore della tenuta di Longwood a Sant’Elena sfila furtivamente (o almeno così sostiene) la chiave della camera dell’Imperatore esiliato, che quest’anno è stata venduta da Sotheby’s per 81.900 sterline.
Su queste due scene si apre e si chiude il nuovo saggio della nostra Alunna Arianna Arisi Rota, Professore Ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Pavia, intitolato Il cappello dell’Imperatore e appena pubblicato da Donzelli. È una ricognizione coltissima e lieve di due secoli di feticismo napoleonico, con eccessi che vanno dal magnate coreano che spende due milioni di euro per possedere il bicorno (o meglio uno dei bicorni) che apparteneva a Bonaparte a Stanley Kubrick che, lavorando a un film su Napoleone, “scheda un esemplare di chiodo utilizzato per ferrare i cavalli nei climi freddi e gelati, per verificare la teoria che i cavalli usati nella campagna di Russia non fossero appropriatamente ferrati per l’inverno”. Inutile dire che il film non fu mai portato a compimento.
Il culto dell’immagine di Napoleone attraverso i suoi oggetti ha radici profonde, perfettamente testimoniante dal quadro di Carl Von Steuben utilizzato per illustrare quest’articolo in homepage: Les huit époques de Napoléon Ier ou Vie de Napoléon en huit chapeaux, che cinque anni dopo la morte dell’Imperatore ne raffigura le fasi della carriera attraverso il famoso bicorno posto in otto posizioni diverse, ritto e dotato di coccarda per il primo console, mestamente rovesciato per Sant’Elena. Di fatto, una riduzione di Napoleone al suo oggetto più rappresentativo o, per meglio dire, un’incarnazione del suo spirito in un oggetto toccato dalla sua grazia. Un fenomeno religioso più che storico, come testimonia anche il collezionismo sfrenato di chi – dopo Waterloo, dopo l’esilio, addirittura dopo la morte – ne attendeva il ritorno nonostante tutto, una risurrezione politica e materiale.
La passione per gli oggetti di Napoleone si estende oltre i confini personali. Comprende il cannocchiale da tasca di Nelson, una scatola da trucco di Giuseppina Beauharnais, addirittura le viscere del Re di Roma o Duca di Reichstadt, insomma Napoleone II, il figlio che mai poté succedergli: l’urna contenente le sue interiora non arrivò da Vienna a Parigi in occasione della solenne cerimonia del 1940 alla presenza di Pétain e di Hitler.
“Tra pragmatismo e feticismo”, spiega Arianna Arisi Rota, “la diaspora degli oggetti di Sant’Elena è accompagnata da un’insidiosa sovrapposizione, soprattutto nel racconto orale in famiglia e nella trasmissione ai discendenti, e da questi ai musei o alle istituzioni beneficiarie: quella tra gli oggetti effettivamente utilizzati da Napoleone, e quindi entrati in contatto con la sua persona, e gli oggetti semplicemente presenti a Longwood, in un equivoco che giunge fino ai giorni nostri costringendo le case d’asta all’uso di formule cautelative nella descrizione dei lotti”. Una cautela che forse non venne usata nel catalogo di un museo approntato nel 1860 all’Isola d’Elba: dove, oltre a una tazza da viaggio e a posate d’argento, oltre a capelli e indumenti dismessi, spicca anche un dente di Napoleone bambino, nella miglior tradizione delle reliquie capaci di proliferare oltre ogni ragionevole incertezza.
Arianna Arisi Rota, ghisleriana dal 1983, è membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Alunni del Collegio Ghislieri, di cui è Vicepresidente. È Professore ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Pavia, dove tiene i corsi di History of Diplomacy e Storia dell’Italia contemporanea. Dal 2002 al 2013 ha gestito e implementato la mobilità internazionale del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’ateneo pavese; dal 2013 al 2019 è stata Delegato del Rettore dell’Università di Pavia per il fundraising internazionale. Autrice di più di cento scritti scientifici, fra i suoi libri più recenti segnaliamo Risorgimento. Un viaggio politico e sentimentale(Il Mulino, 2019), 1869: il Risorgimento alla deriva. Affari e politica nel caso Lobbia (Il Mulino, 2015), e I piccoli cospiratori. Politica ed emozioni nei primi mazziniani(Il Mulino, 2010). Ha curato con Marina Tesoro la mostra “Le Università erano vulcani. Studenti e professori di Pavia nel Risorgimento”, in occasione del 650° anniversario della fondazione dell’Università di Pavia; nonché il volume collettaneo Ghislieri450. Un laboratorio d’intelligenze (Einaudi, 2017), in occasione del 450° anniversario della fondazione del Collegio Ghislieri.