Tra credenza popolare e medicina – Un’intervista a Paolo Mazzarello

La storia recentissima dei rimedi possibili contro il Covid-19 insegna che di fianco alla medicina ufficiale permane una solida sacca di resistenza dovuta alla cultura popolare, che oggi si esprime in parte sotto forma di scetticismo talora superstizioso, in parte sotto forma di ricorso a rimedi scellerati: nel corso dell’ultimo anno, per far fronte alla pandemia, sono circolate voci che patrocinavano l’utilizzo della vodka o di escrementi bovini, per non parlare dell’ingestione della candeggina.

Di là da questi eccessi, l’intreccio tra cultura popolare e medicina è una costante della storia umana sin dall’antichità. Al riguardo il nostro Alunno prof. Paolo Mazzarello, Professore Ordinario di Storia della Medicina presso l’Università di Pavia, ha rilasciato una bella intervista a Franco Cattaneo per l’Eco di Bergamo, prendendo spunto dalla storia del “decotto miracoloso” di cui Mazzarello aveva parlato ne L’erba della regina (Bollati Boringhieri, 2013).

Lo spunto è una storia che aveva condotto Mazzarello in Bulgaria, nel villaggio balcanico di Shipka, sulle tracce del guaritore popolare Ivan Raev. Costui, ovviamente privo di alcun titolo scientifico, “inventò una mistura la cui componente principale era la belladonna (un vegetale potenzialmente molto pericoloso) per curare i postumi dell’encefalite letargica”. Il trovato fu fatto importare in Italia su impulso di Elena di Montenegro, moglie di Vittorio Emanuele III, che mandò appositamente dei botanici in Bulgaria per studiare le proprietà benefiche dell’erba velenosa.

L’interesse per questo caso è riemerso in quanto – così come dopo la prima guerra mondiale si era diffusa in tutta Europa un’epidemia di encefalite letargica a seguito della Spagnola – la malattia presenta “remote analogie con i postumi neurologici protratti del Covid-19”. Non solo: la storia del decotto di Raev risulta utile a stabilire confini certi fra credenza popolare e scienza medica. Infatti, spiega Mazzarello, “il nocciolo della terapia consisteva nel preparare un decotto con radici di questo vegetale bollito in vino bianco secco. Poi si dimostrò che questa procedura non era un requisito essenziale e si arrivò a produrre pillole che contenevano i principi attivi”. Questa labile distinzione risale alle radici stesse della scienza medica. “In origine esisteva una medicina magico-religiosa nel contesto di una natura osservata come un universo incantato”, spiega. “La coesistenza della medicina ippocratica con la medicina popolare è proseguito nei secoli, specie nelle campagne, lungo il Medioevo e fino all’età moderna”.

Si tratta, in definitiva, di “un percorso in divenire, che compie balzi in avanti spettacolari quando la produzione dei farmaci si lega alla chimica. Indubbiamente il secolo dei Lumi e il positivismo dell’Ottocento hanno impresso un’accelerazione. Il vero punto di svolta è rappresentato dai grandi farmaci che hanno cambiato la storia umana e la demografia. La produzione dei medicinali in origine derivava quasi sempre dalle piante, a volte e in misura minore dagli animali e talora anche dai minerali (è il caso del mercurio che nel Cinquecento e nel Seicento serviva per curare la sifilide). In seguito, nell’Ottocento, lo sviluppo della chimica sintetica ha impresso un’accelerazione alla farmacologia, che nella seconda metà del secolo diventò materia fondamentale d’insegnamento nelle Università”.

Il testo integrale dell’intervista può essere letto cliccando qui.

Paolo Mazzarello, ghisleriano dal 1974, è Professore ordinario di Storia della Medicina presso l’Università degli Studi di Pavia. Fra i suoi libri, ricordiamo L’inferno sulla vetta (Bompiani, 2019), Il Nobel dimenticato. La vita e la scienza di Camillo Golgi (Bollati Boringhieri, 2006, ristampato nel 2019 e tradotto in inglese nel 2010 per la Oxford University Press), Il professore e la cantante. La grande storia d’amore di Alessandro Volta (Bollati Boringhieri, 2006, ristampato da Bompiani nel 2020), Il morbo di Violetta. Carlo Forlanini e la prima vittoria sulla tubercolosi (Fiorina, 2018) e L’elefante di Napoleone. Un animale che voleva essere libero (Bompiani, 2017). Con Maria Antonietta Grignani ha pubblicato Ombre nella mente (Bollati Boringhieri, 2020), a cui Ghislieri.it ha dedicato una lettura approfondita. Una selezione dei suoi saggi accademici è disponibile online. Dirige il Sistema Museale di Ateneo di Pavia. È membro dell’Istituto Lombardo e dell’Accademia Europaea, e consigliere del Comitato Direttivo dell’Associazione Alunni del Collegio Ghislieri. Nel ciclo di conferenze web “Non fermiamo la cultura”, ha tenuto un intervento su Il Ghislieri e la storia dei contagi.