
Nell’autunno del 510, secondo le fonti più accreditate, il futuro vescovo di Pavia Magno Felice Ennodio si mise in viaggio attraverso il Po per consolare la sorella di un grave lutto che l’aveva colpita: la morte del figlio. Alla traversata, che fu funestata da una spettacolare piena del fiume, Ennodio dedicò un carme in cinquantadue esametri, che è appena stato pubblicato da La Vita Felice sotto il titolo La piena del Po, a cura del prof. Fabio Gasti, nostro Alunno Professore ordinario di Letteratura latina tardoantica e Storia della lingua latina presso l’Università di Pavia.
Il pregio di quest’edizione, di là dall’acribia critica e filologica, agli occhi del lettore non specialista sta forse nella corposa introduzione in cui il prof. Gasti restituisce un ritratto complesso di Ennodio – la cui biografia resta in realtà ricca di lacune, al punto da non sapersi se sia nato ad Arles o a Pavia – come autore e come ecclesiastico, mostrandolo in un intricato sistema di relazioni col contesto culturale e religioso del VI secolo. Il carme acquista così nuova luce: può essere interpretato come episodio autobiografico, descrizione naturalistica, esortazione morale, allegoria religiosa…
Non si hanno certezze sull’identità della germana alla quale Ennodio andava a rendere visita: una delle due sorelle menzionate nell’epistolario, una terza sorella della quale non si ha notizia, una parente o addirittura una pia donna, affratellata nella fede cristiana. Traspare tuttavia, dal carme di Ennodio, che meno dell’identità della consolata contasse la consolazione in quanto motivazione morale che spinge l’autore a mettersi in viaggio; in questo senso dunque la furia distruttrice della piena può essere interpretata come ostacolo posto dagli elementi, che vanamente cercano di impedire la pratica della carità cristiana. Allo stesso modo, può essere letta in maniera come metaforica palingenesi la scena di Ennodio che cade in acqua e viene ripescato.
La piena del Po, scrive il prof. Gasti, è “un tema che soddisfa l’esigenza del poeta di esprimere la propria vena retorica in un lampante esercizio di stile, ma anche la volontà di fare opera cristianamente utile, utilizzando l’esperienza vissuta e le circostanze ambientali, così efficacemente rappresentate, per trarre un facile quanto profondo insegnamento morale”.
È innegabile che, se il carme di Ennodio avesse privilegiato esclusivamente un aspetto connesso alla narrazione della piena – quello morale, quello naturalistico, o quello prettamente stilistico – la breve opera sarebbe forse risultata stucchevole; il suo fascino per il lettore comune sta invece nella capacità dell’autore collocarsi in un punto intermedio fra le diverse esigenze cui sentiva di dover rispondere. Si tratta di una sorta di attrito che Ennodio avvertiva non senza sofferenze, come dimostra la pagina autobiografica, citata nell’introduzione, in cui si accusa di aver ecceduto nella ricerca di uno stile prezioso e colto, in contrasto con l’insegnamento dell’umiltà cristiana. Un attrito, però, e un tormento che sembrano costituire l’esatta cifra di Ennodio come autore.
“Dal nostro angolo visuale, il trattamento che Ennodio riserva alla descrizione della piena del Po si impone per i suoi caratteri squisitamente formali, cioè per la cura stilistica e per la volontà di richiamo allusivo ai modelli, e il componimento ha una sua rilevanza storico-letteraria anche solo per questo”, conclude il prof. Gasti. “Tuttavia, valorizzare anche il messaggio cristiano che il testo pure contiene costituisce per così dire una cura critica ulteriore, che ne aumenta il valore illustrando un livello più profondo di comunicazione fra autore e destinatario. In questo senso, il destino del letterato può contare sulla disponibilità di lettori, antichi e moderni, più attenti e più motivati”.
Nel 2021 si celebrerà il millecinquecentesimo anniversario della morte di Ennodio.
Fabio Gasti è ghisleriano dal 1981. È Professore ordinario presso l’Università di Pavia, dove insegna Storia della lingua latina e Letteratura latina tardoantica, disciplina che ha introdotto nell’ateneo pavese. Fa parte del Comitato editoriale della rivista “Athenaeum” e ha promosso e dirige le Giornate ghisleriane di filologia classica. La sua ricerca si concentra in particolare sui rapporti fra cultura pagana e cultura cristiana in età tardonatica, a partire dallo studio sistematico di Isidoro di Siviglia (nel 2010 ha curato l’edizione critica e il commento del libro XI delle Etymologiae per i tipi parigini de Les Belles Lettres); ma i suoi interessi si estendono fino allo studio del latino post-classico nella prosa del Sei e Settecento. Fra le sue numerose pubblicazioni segnaliamo La letteratura tardolatina. Un profilo storico (Secoli III-VII d.C.), pubblicato nel 2020 da Carocci.