
Dieci anni fa, quando la necessità dello smartworking era ancora di là da venire, Franco Morganti indicava per Milano un modello di “città digitale, in cui le reti abbiano un tale sviluppo da consentire di lavorare più facilmente e da qualsiasi luogo, di ridurre gli spostamenti, di consentire analisi più tempestive nella sanità, nello scambio delle informazioni fra gli enti e la gestione delle informazioni rivolte ai cittadini, nella gestione degli edifici e nell’ottimizzazione energetica”.
Franco Morganti è sempre stato convinto che la felicità sociale derivasse dalla “innovazione creativa”, contrapposta alla “innovazione parassitaria” che, sovente, costa agli imprenditori tempo, denaro ed energie che potrebbero essere messe a frutto per la collettività ma finiscono per venire disperse contro gli ostacoli burocratici e una certa pigrizia della politica nel favorire e cavalcare il cambiamento tecnologico, anziché subirlo. Nella buona pratica dell’innovazione sul territorio individuava la “ricchezza delle città” – scoperta parafrasi della formula di Adam Smith, e titolo di una serie di articoli per il mensile Arcipelago Milano – incardinandola su “sicurezza, tasse praticabili e un’accettabile amministrazione della giustizia”.
Morganti ha messo in atto le proprie convinzioni in materia di innovazione sin dagli esordi della propria carriera, presso Olivetti, e a maggior ragione intraprendendo nel 1974 l’attività di consulenza strategica nei settori pubblico e privato. Nel 1981 la Presidenza del Consiglio dei Ministri lo ha chiamato a presiedere il gruppo di lavoro sul riassetto delle telecomunicazioni; dal 1998 al 2000 è stato consulente per l’Authority per le garanzie nelle comunicazioni; fondatore di aziende come Metrel, Reseau e Databank Consulting, è stato consigliere d’amministrazione dell’Enel e di Wind, oltre che vicepresidente dell’International Institute of Communications. Il Corriere della Sera lo ha definito a ragione “una delle menti dell’hi-tech italiano”.
È stato anche protagonista della vita politica e sociale di Milano, candidandosi a sindaco nel 1993 e a deputato l’anno successivo. Personalità poliedrica (aveva anche un’esperienza da attore al Piccolo Teatro, e si era cimentato in reiterate scalate sul gruppo del Monte Bianco), ha pubblicato numerosi volumi che spaziavano dalla saggistica alla divulgazione. Il Paese di Brambilla (Sole 24 Ore, 1986) è stato definito da Giorgio Bocca, nella prefazione, come simmetrico alle ciniche e profonde vignette di Altan su Cipputi; con la differenza che il protagonista del volume non è operaio ma piccolo industriale della Val Brembana. Il Corriere della Sera, recensendolo, colse lo spirito definendolo subito “libro serissimo ed esilarante”; Morganti stesso, del resto, dichiarava: “Penso che il senso dell’umorismo sia importante quasi quanto la competenza”.
Più recente, La religione di un ateo (Aliberti, 2009, con introduzione di Umberto Veronesi) si proponeva di risolvere in maniera originale la questione del confine fra scienza e religione. Mentre gli opposti schieramenti cercando di farlo avanzare o arretrare a mo’ di trincea, Morganti notava che nelle Scritture si trova una carica poetica ed emotiva apprezzabile anche da un ateo, e che non confina con la razionalità, le dimostrazioni e le confutazioni su cui si regge la scienza; su questa distanza Morganti proponeva che atei e credenti fondassero un reciproco rispetto dei ruoli e trovassero modo di sottoscrivere un patto di cittadinanza per la serena convivenza. La religione di un ateo aveva ottenuto il plauso sia dagli ambienti ecclesiastici sia da parte scienziati non credenti, primo fra tutti Giulio Giorello che, sul Corriere della Sera, commentava così il volume: “La componente distruttiva si ritorce contro la stessa fede. Impedisce di sognare, come invece vuole ancora fare Morganti nella sua personale religione, che sembra portare non verso riti e gerarchie ma verso una sorta di ricerca interiore: una sensibilità e un esercizio di spiritualità che si possono condividere senza interferire con la conoscenza scientifica e con la libera fioritura dei più diversi esperimenti di vita”.
Alunno del Collegio Ghislieri per i primi due anni di Ingegneria, i soli che all’epoca fosse possibile frequentare all’Università di Pavia, si era successivamente iscritto al Politecnico di Milano dove si è laureato nel 1956, restando comunque legato al Collegio nei decenni. A lungo membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Alunni, ne è stato Vicepresidente dal 2006 al 2013.
Franco Morganti si è spento a Milano il 12 settembre 2020.
Il 26 settembre, per ricordare Franco Morganti, si sono incontrati all’ADI Design Museum di Milano rappresentanti del mondo dell’industria, dell’informazione e della cultura. Dopo Nicola e Michele Morganti, tra gli altri sono intervenuti il Presidente della Fondazione Ghislieri, Gian Arturo Ferrari, il Presidente della casa editrice Longanesi e già direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli, l’italianista e Professore emerito presso l’Università di Heidelberg Ettore Brissa, il manager e giornalista Edoardo Segantini, l’economista e analista di mercato Augusto Preta, il Presidente del collegio sindacale Eni Rosalba Casiraghi, il manager e analista Lorenzo Boscarelli. Il presidente dell’ADI-Associazione per il Disegno Industriale, Luciano Galimberti, ha individuato nell’incrocio fra tecnologia, innovazione, poetica e impegno civile il fulcro dell’apporto dato da Franco Morganti all’industria e alla cultura italiana.