Emergenza Coronavirus – Due giovani dottoresse in prima linea

La pandemia che ha travolto l’Italia ha messo sotto gli occhi di tutti la necessità di valorizzare il più possibile le competenze e la dedizione dei giovani medici che possono dar manforte al sistema sanitario durante queste circostanze estreme.

Anche il Collegio Ca’ della Paglia – il nostro graduate college di merito, aperto a tutta la comunità di dottorandi, masteristi e medici specializzandi, dall’Italia e dall’estero – ospita due alunne impegnate in prima linea contro l’emergenza Coronavirus. Si tratta della dott. Alice Bonetti, specializzanda in microbiologia e virologia, e della dott. Marta Colaneri, specializzanda in infettivologia.

Entrambe sono beneficiarie di una borsa di studio del nostro Centro Ricerca e Didattica Universitaria. Ed entrambe durante quest’emergenza stanno svolgendo, assieme a tutto il personale medico, uno straordinario lavoro presso il Policlinico San Matteo, l’ospedale pavese che ha preso in cura e guarito il “paziente 1” e per il quale il Ghislieri ha organizzato una raccolta fondi cui potete tuttora contribuire con le vostre donazioni.

Le loro storie sono tanto più interessanti in quanto si tratta di due tipologie esemplari del lavoro dei medici: quello in prima linea, che fa fronte alle sofferenze dei pazienti, e quello di laboratorio, impegnato affinché il progresso nella ricerca possa risolverle a monte.

“Lavoro come infettivologa a stretto contatto coi rianimatori”, racconta infatti la dott. Colaneri, “nel reparto di terapia sub-intensiva. È un reparto appena adibito, che non esisteva prima di quest’emergenza. Ogni giorno il bancone all’ingresso del reparto sembra una trincea. Il telefono squilla senza sosta: sono i parenti delle vittime, preoccupati, talvolta disperati, che attendono notizie sulle condizioni dei loro cari”.

Quanto alla dott. Bonetti, spiega: “Forse spesso si pensa che i medici di laboratorio nutrano un certo ristacco nei confronti dei referti che emanano. Quest’esperienza dimostra esattamente il contrario: fin dal primo giorno, quando dal nostro laboratorio di virologia è stata data la conferma di positività del paziente 1, ci siamo resi conto della gravità di ciò che stava per accadere. Certo, non potevamo immaginare l’entità dell’evento, ma ci è precipitata addosso quella notte stessa: migliaia di campioni tra pronto soccorso, reparti interni e tutti gli ospedali della Lombardia che avevano noi, Policlinico San Matteo, come centro di riferimento regionale”.

Di fronte a un’ondata del genere, continua la dott. Colaneri, il rischio è sentirsi impotenti.  “Cosa si può rispondere a queste chiamate? Il rischio è l’inerzia, rispondere con frasi standard che racchiudano la nostra sensazione di impotenza di fronte a quest’inferno, come se stessimo cercando di fermare una valanga con le mani”. Si tratta di un’esperienza senza precedenti, non solo per i giovani medici. “Quello che più colpisce è vederli all’ingresso, questi pazienti”, racconta. “Tutti affaticati, qualcuno agonizzante. È impressionante sapere che rimarranno soli anche se noi ci siamo, entriamo, li visitiamo; ma, per la particolare natura della terapia, loro sono soli. Non possono nemmeno vederci in faccia, non possono nemmeno usufruire della consueta compassione che solo la vista dell’altro, del curante, ti può dare. La cosa che ci fa stare ancora peggio è che alcuni debbano morire così, senza parenti o amici”.

Le parole della dott. Colaneri sono tremende, potenti, trasmettono vivida la gravità della situazione che purtroppo sembra ancora sfuggire ad alcuni. Le fa eco la dott. Bonetti: “In laboratorio teniamo sempre ben presente”, dice, “che dietro i singoli campioni che devono essere inattivati, processati e analizzati con le metodiche di biologia molecolare, ci sono dei pazienti che soffrono, e ci sono le loro famiglie che si trovano coinvolte in questo vortice quasi fantascientifico”.

Le storie di queste giovani dottoresse contengono però anche una dimostrazione della determinazione e della forza d’animo che tutto il personale sanitario sta dimostrando in questa tragedia. “Per me è fondamentale essere consapevole che a noi virologi guardano i colleghi clinici e tutti gli italiani in generale, nella speranza che la nostra ricerca possa presto dare una risposta”, conclude la dott. Bonetti, “e ce la stiamo mettendo tutta”. La dott. Colaneri aggiunge: “Davanti all’orrore di questa guerra noi non possiamo che continuare a lavorare, instancabilmente, fino all’esaurimento delle nostre stesse risorse”.

E noi cosa possiamo fare? “Voi aiutateci, restate a casa”, rispondono entrambe.